Cronaca

Il Covid, il ricovero a Cremona e il trasferimento in Germania: la storia di Grozdana. 'Sentivo solo le sirene'

“E’ stato bello assistere al ricongiungimento con la sua famiglia, mi ha scaldato il cuore. Questo è stato un mese e mezzo di guerra, per noi è stato molto duro, soprattutto psicologicamente: andiamo a prendere persone che non stanno bene e poi non ne sappiamo più nulla”.

E’ rientrata dalla Germania lo scorso 20 aprile, Grozdana Krstevska, 53enne di Vescovato ricoverata prima in terapia intensiva a Cremona e poi presso l’ospedale militare di Westerstede (Germania), dove era stata trasferita il 29 marzo. Grozdana di origine macedone, è da circa 16 anni in Italia dove vive con il marito e due figli (una femmina di 12 anni e un maschio di 23) e lavora a Pozzaglio. La 53enne oggi è guarita ed ha potuto riabbracciare la sua famiglia che l’attendeva impaziente sulla soglia di casa. Una storia a lieto fine, dunque, mentre purtroppo non è stato così per altri cremonesi trasferiti in Germania.

Il virus l’ha colpita come accaduto a tanti: le prime febbri, tenute a bada con il paracetamolo, i giorni di malattia presi al lavoro e poi il peggioramento. Quindi il ricovero a Cremona, gli esami e poi il vuoto: “Dopo un giorno che ero in ospedale non ricordo più niente. Sono entrata il 19 marzo nella struttura di Cremona e mi sono svegliata il 6 aprile in Germania. Sentivo nella mia testa le sirene delle ambulanze, ma non so dire quando e dove”.

Anche il risveglio non è stato semplice: “Ero spaventata: non capivo dov’ero e la lingua in cui mi parlavano”. Un problema superato grazie ad alcuni espedienti e alle lingue conosciute dalla donna: “I medici entravano e mi leggevano o scrivevano delle parole in italiano per farmi capire cosa dicevano. In più ho avuto la fortuna di incontrare anche un medico serbo con il quale riuscivamo a comunicare e un ragazzo albanese, che però parlava italiano. E quando non riuscivamo a intenderci con le parole, usavamo i gesti delle mani”.

Dopo 5 giorni ha ripreso a camminare e ha potuto parlare con la sua famiglia: “Ho avuto una telefonata con mio nipote che mi ha spiegato la situazione. In ogni stanza c’era un telefono e lì mi chiamava la mia famiglia”. Una famiglia che, fortunatamente, non è stata toccata dal virus: “Hanno fatto tutti il test e nessuno ha contratto la malattia”. Da quando è tornata a casa, c’è anche la preoccupazione per quella parte di famiglia rimasta in Macedonia dove, spiega, “la situazione è simile alla nostra, con tanti contagiati dal coronavirus”. La 53enne è estremamente grata al personale che l’ha assistita: “Non ho davvero parole per descrivere il lavoro di medici e infermieri”.  “Adesso – conclude la donna – andiamo avanti: speriamo non torni mai più quello che stiamo passando”.

Nel corso del volo di rientro dalla Germania, Grozdana è stata assistita da una infermiera dell’AAT 118 di Cremona, Katia Benedini che confessa: “E’ la prima volta che faccio una cosa simile, ma devo dire che è stata organizzata molto bene”. Katia ha viaggiato su un’ambulanza da Cremona a Linate, poi, dopo appena il tempo di un corso accelerato sull’utilizzo delle apparecchiature, è salita subito a bordo di un piccolo jet sanitario con destinazione Brema. Inizialmente era previsto che andasse a prendere la 53enne direttamente in ospedale, ma, per motivi di sicurezza, l’ha invece attesa in aeroporto su disposizione delle autorità tedesche. “L’ho aiutata – racconta l’infermiera – a salire le scale dell’aereo perché dopo circa un mese di ricovero era in buone condizioni, ma debilitata. Una volta a bordo mi ha parlato per tutto il volo di ritorno a Milano: ‘Era un mese che praticamente non parlavo con nessuno’, mi ha detto”.

Da Linate, poi, altro trasporto in ambulanza fino a Vescovato: “E’ stato bello assistere al ricongiungimento con la sua famiglia, mi ha scaldato il cuore. Questo è stato un mese e mezzo di guerra, per noi è stato molto duro, soprattutto psicologicamente: andiamo a prendere persone che non stanno bene e poi non ne sappiamo più nulla”. “Sono stata contenta – conclude l’infermiera – di averla potuta aiutare e mi ha fatto molto bene”.

mtaino

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