Cronaca

"Stai tranquilla, io starò bene": le ultime parole alla figlia. Jessica ricorda la mamma Bethy: "Le sue ceneri torneranno in Perù"

"Adorava mio figlio ed è il ricordo migliore che ho di lei. Era sempre stata chiara: ‘Resterò con te finché avrai bisogno con il bambino, quando sarà grande tornerò da mio marito e dai tuoi fratelli in Perù’. La sua intenzione era questa, non c’era una scadenza, ma nella sua testa le idee erano chiare. Purtroppo il destino ha deciso diversamente”.

Nella foto Jessica e la mamma Bethy

SAN GIOVANNI IN CROCE – “Tranquilla, starò bene. Salutami i tuoi fratelli, tuo papà, tua zia e il mio nipotino, salutami tutti. Io starò bene”. Le ultime parole di Bethy alla figlia Jessica sono arrivate al telefono. Da allora, era il 28 marzo scorso, Jessica non ha più sentito (nè visto) sua mamma, fino alla Pasqua tragica, quando alle 14.30 di domenica 12 aprile Bethy è spirata al “Poma” di Mantova.

Della vicenda della donna abbiamo parlato in un articolo a parte a lei dedicato e fortemente voluto dalle insegnanti della scuola di italiano di Casalmaggiore, che Bethy frequentava. Ma Jessica, figlia della donna classe 1952, vuole giustamente firmare anche il suo, di ricordo. Tra i singhiozzi, perché la mamma è sempre la mamma, e perché a Jessica è stata strappata in modo crudele. “Non l’ho potuta salutare, ma questa in un momento così è purtroppo una mancanza diffusa – spiega Jessica, infermiera professionale in Italia dal 2006, di stanza prima a Cremona e poi a San Giovanni in Croce -. Mi è spiaciuto soprattutto averla dovuta cremare: quello non era il suo desiderio, ma è l’unico modo che ho per poterla riportare a casa, nel suo Perù, così come farò quando tutto questo sarà finito. Peraltro anche in molti stati del Sudamerica, Perù compreso, c’è la quarantena, dunque servirà pazienza. Ma a casa, mia mamma, la voglio riportare”.

Jessica si è laureata in Perù, poi è arrivata in Italia. Ha conosciuto un ragazzo bresciano, che fa l’Oss a Sospiro e da lui ha avuto un figlio, Marco, che ora ha tre anni. “Mia mamma è venuta in Italia per lui. Ha mollato tutto per lui e per noi. Lei ha fatto la maestra: il sistema scolastico peruviano è leggermente diverso da quello italiano. Qui da voi si studia per cinque anni alle elementari, per tre alle medie e poi cinque anni di superiori. Da noi invece sono sei anni di scuola primaria e cinque di secondaria ma, quando finisci questo ciclo, non hai in mano nulla e devi andare avanti o con l’università o con una scuola tecnica. Mia mamma era di fatto quella che in Italia si chiamerebbe maestra elementare. Dunque ai bambini piccoli è sempre stata legata”.

Due anni e mezzo fa la scelta di percorrere un viaggio senza ritorno. “Mi ha detto: ‘Hai bisogno e io ci sono’. Marco aveva compiuto sei mesi e lei è arrivata a vivere con noi. Ha fatto la nonna, aiutandoci in tutto e per tutto. Adorava mio figlio ed è il ricordo migliore che ho di lei. Era sempre stata chiara: ‘Resterò con te finché avrai bisogno con il bambino, quando sarà grande tornerò da mio marito e dai tuoi fratelli in Perù’. La sua intenzione era questa, non c’era una scadenza, ma nella sua testa le idee erano chiare. Purtroppo il destino ha deciso diversamente”.

Tutto ha iniziato a precipitare il 14 marzo. E Jessica, al peso della perdita, assomma quello di un ingiusto (ma umano) senso di colpa. “Credo che mamma si sia ammalata per colpa mia. Lei era molto rigorosa, non è più uscita di casa quando ha saputo del Coronavirus. Era molto attenta, non sgarrava mai. Io però, lavorando come infermiera all’Aragona, probabilmente ho portato la malattia in casa. Non me lo perdonerò mai. Il 14 marzo ho avuto febbre e qualche sintomo chiaro, poi mi sono ripresa. Dopo dieci giorni mia mamma ha iniziato a stare poco bene. Il 27 faticava a respirare e io la volevo portare all’ospedale. Lei non voleva, diceva che faticava a respirare solo se camminava, ma se stava ferma non c’erano problemi. Invece stava soltanto cercando di non farci preoccupare: è stata altruista pure in questo”.

L’ultima telefonata è quella del giorno successivo, dopo il ricovero all’Oglio Po. “Sapevo che dovevano intubarla, sapevo che la situazione era grave. Mi ha detto: ‘Tranquilla, io starò bene, salutami tutti’. Non so se quel suo ‘starò bene’ fosse riferito a una dimensione ultraterrena, se si sentisse qualcosa, se avesse percepito che quello era il suo addio da tutti noi. Aprile, peraltro, è davvero nel nostro destino. Il 14 aprile 2018 siamo stati in Perù, ad Arequipa, la nostra città di origine, per l’ultima volta, fino al 5 maggio di quell’anno. Il 12 aprile 2020 se n’è andata. E io non riesco a darmi pace”.

Quale è il ricordo che resta? “Quello di una mamma per tutti. Mamma per i suoi fratelli, per i suoi figli, una donna forte e tenace: poteva cascare il mondo ma lei andava sempre avanti. Non si è mai fermata dinnanzi ad alcuna avversità. E’ stata una madre severa ed amorevole, che ha lottato per garantire la laurea o un lavoro serio a tutti e tre noi suoi figli. Una donna con un gran cuore, disposta a togliersi letteralmente il pane di bocca per chi aveva bisogno. La sua vita è stata tosta, m non ha mai smesso di credere, con il sorriso, in un domani migliore”.

Una vita per gli altri, anche nella scelta dei suoi hobby. “Studiava italiano a Casalmaggiore, lo faceva la mattina, perché era un momento della giornata in cui non doveva fare la nonna, dato che Marco andava alla scuola materna. Ci teneva a imparare, del resto venendo dal mondo dell’insegnamento, non poteva che sentire questo desiderio dentro di sé. Oggi sento il vuoto, forse lo percepisce già anche Marco: ma ho promesso che a lui tramanderò ogni passaggio e ogni sfumatura della lezione che mia mamma ha lasciato a me”.

Giovanni Gardani

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