Salute

Coronavirus, quei numeri da "normalizzare" per non cedere al panico. E riportare i dati cremonesi a un trend logico

Partiamo da una domanda, aperta a tutti e aperta a molte soluzioni: vi sembra normale che Regione Lombardia associ a Cremona una crescita di 451 casi nelle ultime 48 ore, mentre la Prefettura di Cremona nello stesso lasso di tempo ha segnato un aumento di 52 casi, poco più di un decimo? A noi no, per nulla.

Potremmo partire dal concetto di ignoranza di Socrate, ossia sapere di non sapere. Che in questo caso (molto) liberamente traduciamo in curiosità e desiderio di non essere sazi. Non essere sazi di numeri che preoccupano, creano confusione e – diciamolo pure – panico. Il caso di Cremona è l’emblema di tutto questo: negli ultimi due giorni, stando a Regione Lombardia, la provincia cremonese ha subito un rialzo di 224 e poi di ulteriori 227 casi.

Ci siamo spaventati, indubbio dirlo, soprattutto perché questi numeri sono totalmente fuori asse e sballano il trend che sin qui si era stabilizzato. Così, senza preavviso, ci siamo ritrovati da una linea appiattita a un nuovo picco verso l’alto. Però a volte basta non accontentarsi dei dati ufficiali, o meglio ancora prenderne altri e confrontarli. Partiamo da una domanda, valida per tutti e aperta a molte soluzioni: vi sembra normale che Regione Lombardia associ a Cremona e provincia una crescita di 451 casi nelle ultime 48 ore, mentre la Prefettura di Cremona nello stesso lasso di tempo ha segnato un aumento di 52 casi, poco più di un decimo?

A noi no, perché i tamponi somministrati sono sempre gli stessi, non variano da ente di raccolta ad altro ente, e allora abbiamo fatto mente locale e sfruttato memoria e qualche dichiarazione di questi giorni, anche di politici locali. Sono queste ad aiutarci a superare la prima obiezione, che potrebbe essere: perché “credere” o semplicemente fidarsi di più della Prefettura piuttosto che della Regione, ente che peraltro da martedì ha superato con i propri dati quelli delle Prefetture provinciali, seppur di poco (a Cremona 5.172 casi per la Regione, 5.116 casi per la Prefettura, primo sorpasso da inizio emergenza)? Per tre motivi.

Il primo è di logica: ovunque il trend segue una linea più o meno omogenea, prima di salita poi di appiattimento, infine di discesa (quando sarà). Ovunque, meno che a Cremona negli ultimi due giorni. Chi fa questo mestiere non può credere alle coincidenze e deve quantomeno sentire un po’ di puzza di bruciato dinnanzi a certi “sbalzi” clamorosi.

Il secondo è geografico: dove la filiera è più corta, è più facile avere dati corretti perché ci sono meno passaggi ad “inquinarli”. Le Prefetture governano territori più ristrettì, le Province, rispetto alla Regione. Dunque è più semplice che “ci azzecchi” la Prefettura piuttosto che la Regione. Ragionando in questi termini, potremmo allora dire che sono i comuni a saperne ancora di più. E proprio questa consapevolezza ci porta al terzo motivo.

Che è temporale, cronologico. Il 28 marzo Casalmaggiore segna, per Regione Lombardia, 85 casi. Lo stesso giorno il sindaco di Casalmaggiore Filippo Bongiovanni annuncia che i casi sono saliti a 100. Casalmaggiore a Pasqua, ossia il 12 aprile, per le tabelle di Regione Lombardia, è ancora a 97, dunque quattordici giorni dopo l’annuncio di Bongiovanni ancora la tripla cifra non si vede. Poi all’improvviso il boom: tra il 13 e il 14 aprile si sale a 152 tamponi positivi. Un rialzo inspiegabile, anche tirando in ballo i tamponi nelle case di riposo, che peraltro – stando a notizie a noi pervenute – a Casalmaggiore dovrebbero partire mercoledì e dunque ancora non sarebbero stati somministrati in massa.

A tal proposito, Gussola non ha una casa di riposo. A Gussola, mentre la Regione indicava ancora 14 casi, il sindaco Stefano Belli Franzini annunciava già 20 casi nello stesso giorno: era il 29 marzo. Per Pasqua Gussola registra 18 casi; all’improvviso, oggi, la Regione ne assegna 31. E qui, ribadiamolo, la “scusa” della casa di riposo non regge, perché una Rsa non c’è. E ancora San Giovanni in Croce: la mattina del venerdì di Pasqua, 10 aprile, il sindaco Pierguido Asinari parla in una lettera ai cittadini di casi in aumento certificati nei giorni precedenti: la tabella regionale, tuttavia, fa segnare un rialzo solo la sera (attorno alle ore 21) di quello stesso venerdì di Pasqua, con San Giovanni che passa da 9 a 15 casi. Non ci risulta che né Asinari né Belli Franzini né Bongiovanni abbiano una DeLorean per viaggiare nel tempo. Né che siano sprovveduti o amino dare i numeri come al Lotto, per di più su un orizzonte comunale che tutti e tre conoscono, visto il ruolo che ricoprono da più di un mandato, molto bene.

E allora è molto più plausibile che Regione sia arrivata tardi a raccogliere (o anche solo a comunicare) i dati, creando poi quel panico generato da rialzi enormi e spropositati. Soprattutto (e quasi in esclusiva, diremmo) su Cremona e in nessun’altra parte della Lombardia. I tre indizi sopra riportati dovrebbero fare una prova. Non ci stupiremmo se – ora che si assiste a un sostanziale pareggio (50 casi di differenza in una provincia intera ci possono stare, non 400 però come avvenuto negli ultimi due giorni) – da mercoledì in poi i dati fossero più simili tra i due enti di raccolta: a quel punto sì, finalmente, potremmo abbozzare una curva statistica credibile. E usiamo il condizionale perché ligi all’ignoranza socratica che volevamo ci accompagnasse lungo tutta questa analisi. Ultimo appunto: chi pensa che i numeri servano a poco o nulla, dovrebbe ricordare che – in attesa di un vaccino o di rimedi alternativi certificati – è la statistica l’arma più utile per capire, non tanto se le misure funzionino ma quanto stiano aiutando. Non è poco.

Giovanni Gardani

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