Cronaca

Rinato dopo due settimane in terapia intensiva: da Trieste il racconto di Giovanni Ziliani

Il virus molto probabilmente l’ha preso dal padre, poi deceduto, mentre un fratello si trova ancora ricoverato all’ospedale di Varese, in condizioni serie. “Mi sono svegliato qui, spaventato, ancora intubato. Ricordo che avevo paura a dormire perchè temevo di smettere di respirare – racconta -. Ricordo gli urti di vomito".

Foto ilgiornale.it

Da Cremona a Trieste, dove era stato trasportato in terapia intensiva. Dopo tre settimane d’ospedale Giovanni Ziliani, 42 anni e un figlio in arrivo, ha superato la grave polmonite da Coronavirus e ha raccontato la sua storia a Fausto Biloslavo del Giornale.it. Dopo i primi sintomi il 10 marzo e un ricovero all’ospedale di Cremona, era stato trasferito all’ospedale di Gattinara da dove in queste ore, finalmente ristabilitosi anche se ancora molto debole, sta per fare ritorno a Cremona.

Il virus molto probabilmente l’ha preso dal padre, poi deceduto, mentre un fratello si trova ancora ricoverato all’ospedale di Varese, in condizioni serie. “Mi sono svegliato qui, spaventato, ancora intubato. Ricordo che avevo paura a dormire perchè temevo di smettere di respirare – racconta -. Ricordo gli urti di vomito quando cercavo di deglutire; il dover convivere con questo fastidio che talvolta diventava dolore; ricordo quando mi aspiravano il liquido, erano costretti a farlo, una delle cose più brutali, ma lo facevano per me. E poi impari a conviverci, cerchi di trovare una posizione e che ti dia meno fastidio”.

Commovente e colmo di gratitudine il ricordo del  giorno in cui lo hanno estubato:  “E’ stata una festa in terapia intensiva, non so se ero più felice io o loro…” Medici ed infermieri  lo hanno aiutato e confortato in ogni modo. “Volevo comunicare, ma non ci riuscivo perchè avevo un tubo in gola. Hanno provato a farmi scrivere, ma ero talmente debole che non ero in grado. Allora mi hanno portato un foglio plastificato con l’alfabeto e digitavo le lettere per comporre le parole”. Quando sono stato in grado di parlare, la prima cosa che hanno fatto è  stata una chiamata in viva voce con mia moglie. Dopo tanti giorni fra la vita e la morte è stato un momento bellissimo.

Poi, il lento ritorno alla quasi normalità, “sono stato svezzato come si fa con i vitellini. Dopo tanto tempo con il sondino per l’alimentazione, mi hanno somministrato in bocca del tè caldo con una piccola siringa. Non ero solo un paziente che dovevano curare. Mi sono sentito accudito”. Finalmente Giovanni torna a casa. E l’attesa, adesso, è di quelle più liete, la nascita del secondogenito Gabriele.

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