Parla don Lucini, guarito dal Covid: 'Nessuno è mai solo, nemmeno in questi tempi'
"Mi sono rimasti impressi gli occhi delle persone, l’unica parte visibile al di là delle maschere. Occhi degli ammalati e occhi degli operatori. Occhi che chiedono aiuto, occhi pieni di paura, occhi che chiedono una preghiera, occhi pieni anche di riconoscenza".
“Nessuno muore solo. Nel trapasso, e ne ho prova quotidianamente nel reparto hospice, c’è qualcuno che ti fa da ostetrica e ti introduce in una nuova vita. La sofferenza è di chi resta qui. Ma nessuno è mai solo, nemmeno al tempo del Covid”. Lo ha detto ad ‘Avvenire’ don Maurizio Lucini, assistente spirituale all’ospedale di Cremona e già vicario a Piadena per sette anni, guarito da poco dal virus e già tornato a svolgere il suo incarico di cappellano nel nosocomio.
“All’inizio”, ha detto don Maurizio, “ho provato smarrimento come tutti perché è stato uno tzunami. Venerdì 21 è giunta la notizia del focolaio a Codogno. Ho pensato che ‘nel tempo di uno starnuto’ sarebbe arrivata l’ondata a Cremona. E così è stato. Ero in ospedale. Sono cominciate ad arrivare ambulanze che hanno riempito il Pronto soccorso. Poi il primo caso in pneumologia e da lì non c’è stato più fine. Come cappellano, assieme a due altri sacerdoti e al personale sanitario, ci siamo sentiti la terra tremare sotto i piedi. Sono entrato con i debiti presidi di sicurezza personale, ma non ovunque si poteva accedere. I reparti venivano chiusi, stravolta l’organizzazione di altri. Il Pronto soccorso era una distesa di barelle ovunque. Alcune persone all’esterno dell’ospedale mi chiedevano di rintracciare i loro cari all’interno. Ad una signora ho potuto far fare una videochiamata con i nipoti per tranquillizzarla. Mi sono rimasti impressi gli occhi delle persone, l’unica parte visibile al di là delle maschere. Occhi degli ammalati e occhi degli operatori. Occhi che chiedono aiuto, occhi pieni di paura, occhi che chiedono una preghiera, occhi pieni anche di riconoscenza. Un signore mi ha detto: «Se lei entra nella mia stanza e sta lì fermo, anche senza dire niente io sono contento». La figura del sacerdote è un segno di speranza”.
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