Dietro i cancelli del carcere tra rabbia e paura di contrarre il virus La testimonianza di un ex detenuto
“Il 21 febbraio – racconta ancora – alle quattro e mezza mi hanno svegliato: sei partente, vai a Cremona. Lo stesso giorno è scoppiato l’allarme per il primo ammalato a Codogno e hanno sospeso tutti i trasferimenti. Così l’allarme per il virus l’ho vissuto tutto a Cremona, nel carcere nuovo, vicinissimo al primo focolaio”.
“La gente fuori non si immagina quale possa essere la situazione dentro le carceri. Non so se è più la rabbia o la paura. Hanno blindato tutto, hanno tolto le speranze a chi le aveva e ora la situazione è destinata a esplodere”. Inizia così la testimonianza, raccolta da Il Giornale, di un pluripregiudicato milanese, passato dal carcere di Cremona (ora è agli arresti domiciliari, ndr) durante i giorni in cui veniva scoperto il primo caso di coronavirus a Codogno ed esplodeva l’epidemia.
“Il 21 febbraio – racconta ancora – alle quattro e mezza mi hanno svegliato: sei partente, vai a Cremona. Lo stesso giorno è scoppiato l’allarme per il primo ammalato a Codogno e hanno sospeso tutti i trasferimenti. Così l’allarme per il virus l’ho vissuto tutto a Cremona, nel carcere nuovo, vicinissimo al primo focolaio”. Questa la realtà che ha trovato: “La prima decisione del ministero è stata di bloccare tutti i colloqui con i parenti, tutti i permessi, tutto il lavoro all’esterno. Chi non vive la realtà del carcere, non immagina cosa voglia dire la sparizione dei colloqui. Dentro si vive nell’attesa, tra un colloquio e l’altro. Adesso stop. Hanno alzato da quattro a nove le telefonate, ma che te ne fai della telefonata quando eri abituato a vedere in faccia tua moglie e i tuoi figli?”.
Non regge, secondo il milanese, la spiegazione di proteggere i detenuti dal virus: “Non è che il carcere è diventato improvvisamente un ambiente sterile dove non entra e non esce nessuno. Gli agenti della polizia penitenziaria entrano ed escono tutti i giorni, vanno a casa, vedono gente: quando la mattina entrano in carcere possono essere infetti, né più né meno di un nostro parente. Portano le mascherine, è vero. Allora perché non fare i colloqui con le mascherine?”.
L’ex detenuto di Cremona racconta ancora come nella casa circondariale si vivesse tra la rabbia e la paura di contrarre il Covid-19: “Ai semiliberi hanno concesso la detenzione domiciliare, invece loro sono tornati dentro. Risultato: aumento del sovraffollamento in un carcere, come Cremona, già fuori dai limiti. Nella zona vecchia hanno aggiunto una branda per cella, in alcune anche due. Questo non ha fatto altro che aumentare il panico da epidemia”. “Qual è il risultato? – conclude – Che la gente sta chiusa in cella per evitare contatti: alle undici del mattino, quando si fa il passeggio all’aria, un sacco di detenuti preferiscono non scendere perché non sai mai chi incontri. Ma tanto se non vai tu va quello della cella accanto che poi ti ritrovi in reparto. Così io al passeggio continuavo ad andarci”.
redazione@oglioponews.it