Infermiere di Foligno racconta la sua esperienza a Cremona: 'Sfido le paure'
Alessandro ha lasciato a Foligno la moglie e un figlio di undici mesi. “Posso sembrare un bugiardo, ma andare in una delle zone d’Italia più colpite dal maledetto virus, non è stato solo per lo stipendio. Quelle immagini in tv dei miei colleghi-eroi che tutto il Paese ringrazia ed esalta mi hanno spinto a partire e quindi a dare il mio contributo".
“La paura c’è sempre e non lo nego, visto che ogni giorno tocco con mano l’emergenza Coronavirus”. Lo ha raccontato al Corriere dell’Umbria Alessandro, 35enne infermiere di Foligno, in prima linea all’ospedale di Cremona. “Capita di tutto durante i pesanti turni di lavoro che, sulla carta, dovrebbero essere di dodici ore ma che alla fine durano molto di più. Ma non ci ho pensato due volte quando, solo poco tempo fa, mi si è prospettata la possibilità di andare a lavorare all’ospedale di Cremona, città tra le più martoriate della Lombardia per l’alto numero di contagi. Sono un infermiere e i rischi fanno parte di questa professione che sento incollata sulla mia pelle. Non potevo rimanere immobile di fronte alla grave situazione. E sono partito”.
L’esperienza di Alessandro è nata proprio da quella domanda presentata e subito accettata dalla direzione sanitaria di Cremona che aveva pubblicato l’avviso per posti a tempo determinato (durata un mese) a seguito della grave carenza di infermieri (e medici). “Era tra l’altro scaduto il mio contratto con un poliambulatorio di Perugia e quindi ero senza un impiego – dice – Ma non ho avuto il tempo di pensare troppo e così, tra domanda, chiamata, conferma dell’incarico e successiva visita medica mi sono ritrovato di colpo in corsia il 18 marzo scorso. Tutto in una settimana, quindi. E senza concorso. Come ci sono riuscito? Non ho fatto altro che presentare il mio curriculum con tanto di elenco delle specializzazioni maturate negli anni per essere scelto. Ho firmato il contratto che prevede un compenso netto di quasi 4 mila euro (5 lordi) che non è niente male. E poi già mi è stato detto che resterò almeno per altri due mesi. Ciò sarà importante anche per il mio punteggio personale in vista di impieghi futuri”. Turni massacranti e totale isolamento. “Alloggio in un centro di accoglienza gestito da un parroco che per fortuna si trova davanti all’ospedale. Ero a conoscenza che qui a Cremona avrei trovato una situazione vicina al collasso con criticità di vario tipo e soprattutto con reparti trasformati in larga parte in terapia intensiva. Insomma, subito a stretto contatto con i casi più a rischio, anche se con le dovute protezioni e garanzie. Almeno sei le persone che purtroppo sono morte nel mio reparto, tra cui anche un uomo di 40 anni”.
Alessandro ha lasciato a Foligno la moglie e un figlio di undici mesi. “Posso sembrare un bugiardo, ma andare in una delle zone d’Italia più colpite dal maledetto virus, non è stato solo per lo stipendio. Quelle immagini in tv dei miei colleghi-eroi che tutto il Paese ringrazia ed esalta mi hanno spinto a partire e quindi a dare il mio contributo. E sono felice, pur tra mille difficoltà e appunto paure, quando vedo che un paziente sta meglio perché le cure hanno dato i frutti”.
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