Oglio Po, la positività e la speranza di tornare. "Tuteliamo anche chi va in casa"
Non chiamatelo eroismo. E' lavoro quotidiano, è quello che c'è sempre stato, è abnegazione ed è speranza, sono nomi e volti, quelli di ieri e quelli di sempre, dai primari alle ragazze delle pulizie. Ed è tutto quel che conta
VICOMOSCANO – “Dentro è ancora dura, ma il problema più serio non è solo quello dentro l’ospedale, ma è quel che succede fuori. Se poi quando sono a casa i pazienti non vengono seguiti, rischiamo di ritrovarceli qui”. A sottolineare il fatto un’infermiera. E’ a casa da qualche giorno, positiva al tampone, come altre sue colleghe e colleghi, come tanti medici in servizio ad Oglio Po. Il virus non ha risparmiato neppure loro. Ma anche chi è a casa non si perde d’animo. L’obiettivo è guarire per tornare a poter dare una mano il prima possibile. “Perché lì dentro c’è bisogno anche per dar respiro a chi resta a lavoro, e di personale qui a Casalmaggiore non ne arriva”.
La lotta contro il virus va avanti ormai da più di un mese, è una lotta impari. Ma qualche piccolissimo segno di speranza c’è. Aumenta il numero dei dimessi. Di quelli cioé che alla fine ce l’hanno fatta ad affrontare e vincere il male oscuro. La lotta contro il bastardo va avanti, serrata. Non esiste cura specifica, si va avanti con quello che si può. “La terapia funziona – ci racconta – ed era la stessa che avevamo fatto all’inizio. Poi il kaletra non si trovava più. Tutto il personale ce la sta mettendo tutta. Dai medici alle ragazze delle pulizie, tutti sono ugualmente importanti. C’è un bel gruppo in Oglio Po. Davvero. Ho colleghe che sono positive come me, e cerchiamo di darci una mano anche tra di noi”.
Qualche preoccupazione resta. “Se noi dimettiamo e i pazienti non vengono seguiti come si deve a casa ripartiamo da zero. Ho scritto a chi di dovere affinché il materiale per la protezione personale sia dato anche alle infermiere del domiciliare. So che c’è carenza. Qualche mia collega mi diceva che girano ancora troppe mascherine di tipo chirurgico e chi è a diretto contatto con positivi corre rischi in questa maniera, rischi che non dovrebbe correre. I medici di base fanno troppe diagnosi e cure da casa e non vedono i pazienti. Penso che il sistema debba cambiare. Bisogna lavorare di più, come fanno in Emilia Romagna, sul domiciliare perché questa è l’unica strada”.
“Spero che gli Amici dell’Ospedale Oglio Po aiutino anche le infermiere del domiciliare. Tutti parlano di noi e fanno donazioni, ma anche loro vanno aiutate. I pazienti a casa devono essere seguiti come si deve. Dobbiamo lavorare su quello”. I positivi in casa sono tanti. Vanno seguiti anche loro, al meglio.
Intanto chi è a casa spera. E se sei infermiere la speranza è quella di tornare quanto prima ad essere utili agli altri. “Spero che il tampone risulti negativo. Se è così, torno subito a lavorare”. Non chiamatelo eroismo però. E’ passione per il proprio lavoro. E’ professionalità ed umanità, il sapere a ragione che ogni pedina è importante. La sanità delle persone che prevale e sempre su quella dei numeri, anche quando i numeri sono impietosi.
Non chiamatelo eroismo. E’ lavoro quotidiano, è quello che c’è sempre stato, è abnegazione ed è speranza, sono nomi e volti, quelli di ieri e quelli di sempre, dai primari alle ragazze delle pulizie. Ed è tutto quel che conta.
Nazzareno Condina