Cultura

“Il sale della democrazia sta nell’interrogativo”, terzo e ultimo incontro del Romani contro la violenza

“Il dialogo interculturale e interreligioso come antidoto all’estremismo violento”: questo il tema della terza giornata, intorno al quale dirigenti scolastici, docenti e alunni – ospite la classe IV D del liceo scientifico – hanno discusso e riflettuto.

L’incontro di martedì 22 ottobre 2019, presso una gremita Aula Magna del Liceo “G. Aselli” di Cremona, ha concluso il primo ciclo del corso di formazione “Educare alle differenze nell’ottica del contrasto ad ogni forma di estremismo violento”, di cui l’IIS “G. Romani” di Casalmaggiore è scuola capofila per la provincia di Cremona.

“Il dialogo interculturale e interreligioso come antidoto all’estremismo violento”: questo il tema della terza giornata, intorno al quale dirigenti scolastici, docenti e alunni – ospite la classe IV D del liceo scientifico – hanno discusso, riflettuto, sono stati sollecitati ad interrogarsi, hanno dibattuto grazie al prezioso contributo dei due relatori: Marco Omizzolo (sociologo, giornalista, ricercatore Eurispes, Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, Responsabile scientifico dell’Associazione In Migrazione) e Maria Acqua Simi (giornalista professionista, responsabile del settore Esteri del «Giornale del Popolo» di Lugano).

Al saluto introduttivo della Dirigente dell’IIS “G. Romani”, prof.ssa Luisa Caterina Maria Spedini, ha fatto seguito un video-messaggio del Dirigente dell’UST di Cremona, dott. Fabio Molinari, il quale ha ringraziato le scuole cremonesi per la vivacità culturale e progettuale che le anima, confermando la sua vicinanza e l’appoggio entusiasta alle iniziative, sempre di notevole spessore, che gli giungono. Prima di augurare a tutti gli intervenuti un buon lavoro per la giornata di studio, il Dirigente Molinari ha sottolineato ancora una volta come le religioni diverse debbano unire e non dividere, come la differenza sia da considerare un elemento di arricchimento e non un ostacolo, invitando ciascuno a vedere quello che gli altri hanno, in termini valoriali, culturali, sociali, e che a noi manca, per poterne fare tesoro.

Le parole del Dirigente dell’UST hanno trovato poi eco in quelle dell’Assessore alle Politiche Sociali e della Fragilità, Welfare, Pari Opportunità, presente all’incontro in rappresentanza delle Istituzioni cittadine. La dott.ssa Rosita Viola ha affermato che “il codice binario – bianco/nero, mi piace/non mi piace, dentro/fuori – ha tolto il porto franco della ragione”, svilendo il dialogo, lo scambio, il confronto, il costruire anche nelle differenze, che non vanno né negate né enfatizzate, ma riconosciute e valorizzate.
L’augurio a tutti di buon lavoro è giunto infine dalla Dirigente del Liceo “Aselli”, prof.ssa Laura Parazzi.

Il sociologo e la giornalista ci hanno guidato in un viaggio tra calli impervi e strade tortuose, dirupi e zone scoscese tra i meandri delle mafie agroalimentari dell’Agro Pontino l’uno, nelle calde zone di guerra del Medio-Oriente l’altra. Due interventi ricchi, densi, accorati in cui la vita personale di Marco e Maria si intreccia, in una trama fitta e articolata, alle vite dei tanti indiani sikh sfruttati, maltrattati, privati della propria dignità di persone da padroni e caporali nelle campagne laziali, e dei tanti siriani sfollati, sfregiati, oltraggiati dall’arrivo del Califfato.

Marco Omizzolo e Maria Acqua Simi hanno voluto vedere “gli invisibili”, hanno dato loro ascolto e hanno dialogato con persone – uomini, donne, bambini –, spogliandosi dei loro vestiti occidentali e indossando quelli indiani e siriani, senza mai venir meno tuttavia alla propria identità, al proprio essere, al proprio sé. Dare voce a chi voce non ha, camminare insieme, mettersi al fianco – nel caso di Marco Omizzolo, vivere con loro per un anno e mezzo perché potesse conoscere a fondo e sperimentare dal di dentro la realtà dei braccianti sfruttati nelle campagne pontine –: questo il modo per fare “quel passo da zero a uno” in un lento, lungo, paziente processo di emancipazione per arrivare ad assumere la consapevolezza di avere dei diritti. Ed allora si trovano finalmente il coraggio e la forza di denunciare, ribellarsi, scioperare. Per un giorno non si fanno più due passi indietro quando arriva il padrone, che con tale appellativo pretende si rivolgano a lui i braccianti vessati; se ne fanno molti di più in avanti per recarsi in Piazza della Libertà – eloquente il nome! – a Latina, davanti al Palazzo della Prefettura e rivendicare i propri diritti, inneggiando alla libertà, alla giustizia e all’uguaglianza, diritti inalienabili dell’uomo.

I redditizi mercati ortofrutticoli di Fondi, Vittoria, Milano devono interpellare le nostre coscienze, anche come consumatori, illuminandoci su una raggiera di responsabilità – mondo della finanza e dell’economia, mondo della politica spesso conniventi – che non può essere taciuta. I braccianti di Latina, Nardò, Castelvolturno, Rosarno, che tengono in piedi l’agricoltura, ma sono sfruttati e presi a fucilate dagli schiavisti, alimentano un sistema di tratta internazionale, che va svelato, denunciato, combattuto. La storia di Balbir da una parte, la storia di Judy o delle due mamme – una cristiana e una musulmana – al pozzo, la storia di Marya avallano la tesi di J. Cohen: “C’è una crepa in ogni cosa. Ed è da lì che passa la luce”.

Atti coraggiosi, rischiosi, concreti, come la promulgazione della Legge 199/2016 (nuova legge contro il caporalato) o la realizzazione della Casa della Speranza per “i figli della guerra” – ad Aleppo sono almeno duemila i bambini orfani o abbandonati – ad opera congiunta del Vescovo di Aleppo, Monsignor Abou Khazen e del Gran muftì Mahmoud Akam, dimostrano che il primo passo per costruire ponti siano l’ascolto, l’incontro, il dialogo fattivo. Sono le domande, infatti, che portano a fare passi in avanti, a costruire ponti, e non le risposte – già date – che ti lasciano nelle angustie, nelle grette ristrettezze, nel perimetro dei muri.

Si può passare dalla cultura dello scontro alla cultura dell’incontro solo coltivando la bellezza, solo ritrovando l’infinito nell’umiltà, solo comprendendo che indistintamente – cristiani e musulmani, bianchi e neri, credenti e non credenti, indiani e siriani, caporali e braccianti, padroni e sottoposti, vescovo e muftì – “sono tutte creature della vita e del dolore”.

Giuseppina Rosato

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