'Dallo Studio alla Strada': domani apre la mostra fotografica di Beatrice Finardi e Mario Benvenuti
Più che uno scontro generazionale la mostra cerca un confronto fra due modi di vivere la passione per la fotografia che a distanza di quasi due secoli dalla nascita costringe appassionati e critici a tutta una serie di valutazioni sempre più tecniche e ponderate
CASALMAGGIORE – Due modi diversi di vivere un’arte, quella della fotografia. Due diversi percorsi: uno, quello di Mario Benvenuti, più ‘bohemien’, più ad istinto. L’altro, due generazioni dopo, quello di Beatrice Finardi più tecnico e strutturato. Entrambi di estrema qualità e di valore. Domani, alle ore 18, presso la sala espositiva della Pro Loco inaugurerà ‘Dallo studio alla strada’, mostra che si protrarrà poi sino al 12 dicembre. Curatore Giuseppe ‘Giupy’ Boles.
“Inizialmente – ci racconta Boles – avrebbe dovuto essere la mostra di Beatrice Finardi. Sono stato coinvolto ed ho prospettato l’idea che fosse invece una mostra che coinvolgesse anche un fotografo che stimo molto, uno dei più geniali interpreti del quotidiano a cui la città non ha mai dedicato particolare attenzione. E’ stato così che l’idea è nata. Più che uno scontro generazionale la mostra cerca un confronto fra due modi di vivere la passione per la fotografia che a distanza di quasi due secoli dalla nascita costringe appassionati e critici a tutta una serie di valutazioni sempre più tecniche e ponderate. Genetica (uomo – donna) e anagrafe stanno alla base della diversa visione di ciò l’occhio dietro l’obbiettivo ha deciso d’immortalare. Da qui parte il confronto. Si è optato di comune accordo per un unico file rouge, sia per quanto riguarda il soggetto (persone e non paesaggi) sia per l’utilizzo esclusivo del bianco e nero, questo per facilitare lo spettatore nella sua personale valutazione delle immagini proposte. Le opere sono frutto di una estrapolazione filtrata da una serie di scatti nati da lavori realizzati per metà in studio e per metà in strada. Anche qui l’dea di affidare ai due artisti luoghi tanto diversi altro non è che l’ennesimo escamotage creato con lo scopo di aumentare l’effetto “confronto” che resta primario nella realizzazione della mostra. L’occhio di un uomo adulto incontra quello di una giovane donna. Il primo, a rappresentare una generazione indissolubilmente legata e plasmata dal secolo passato, si rapporta con quello di una fotografa nata a cavallo tra due mondi, i cosiddetti millenials, anche se sarebbe più corretto dire che Beatrice va addirittura oltre essendo di fatto una rappresentante della generazione Y (così vengono definiti i nati dopo il 1996). Questi ultimi sono adolescenti che per primi nella storia dell’umanità vivono un’esistenza profondamente modificata dalla tecnologia che scrittori visionari (Orwell in primis) e artisti (Andy Wharol con la sua predizione circa il quarto d’ora di celebrità che chiunque avrebbe avuto) avevano immaginato ante tempo”.
Beatrice Finardi nasce a Casalmaggiore il 17 agosto 1998. Dopo la maturità presa al liceo artistico di Parma si iscrive alla facoltà d’architettura. Una scelta di pancia che ben presto si rivelerà sbagliata accorgendosi una volta in aula di non trovare ciò che invece avrebbe voluto. E’ lei stessa a dichiararlo: “Lì ero sempre vincolata da quattro mura”. Decide allora di percorrere una nuova strada affidando tempo ed energie ad un corso di studi con indirizzo fotografico. Questo la porterà da Parma a Brescia verso un’avventura ancora tutta da percorrere. “Con la fotografia posso mettere in gioco la mia creatività a 360°”, poche parole che chiariscono le sincere motivazioni alla base della sua scelta. Beatrice conferma una vera e propria fame di conoscenza quando dice di non sentirsi ancora legata ad un preciso ramo fotografico ma aperta ad un onnivoro sapere in materia. Per questa mostra tuttavia ammette che un maestro su tutti l’ha ispirata (Marco Grob) precisando però che il desiderio di firmare ogni scatto con la propria personalità potrà sicuramente far parlare di un tentativo d’emulazione ma mai di copia.
Mario Benvenuti nasce a Casalmaggiore il 3 Ottobre 1963. Inizia a fotografare all’età di 7 anni ispirato dal vicino di casa che a quell’epoca sviluppava in cantina le proprie fotografie in bianco e nero. La primigenia passione si è man mano trasformata in una vera e propria voglia di miglioramento continuo. Inizia da autodidatta a sperimentare il fascino della camera oscura arrivando ad usare ancora adolescente il proprio bagno di casa come laboratorio. In un primo tempo la sua curiosità lo allontana dal bianco e nero facendolo avvicinare prima alla diapositiva ed in seguito al colore anche se quest’ultimo non lo soddisferà mai pienamente lasciando così in lui il desiderio mai sopito di tornare alle origini. Dopo quasi vent’anni infatti riprende a stampare in bianco e nero migliorandone notevolmente le tecniche. Amante della fotografia istantanea segue le orme di maestri indiscussi come Cartier Bresson, Robert Doisneau e l’italiano Ferdinando Scianna. Dalle sue opere sugli artigiani di un tempo ne è scaturita una pubblicazione datata 1999. Da anni segue con occhi nostalgico e romantico i colori che il fiume Po regala a chi decide di seguirne la corrente imponendosi come uno dei maggiori interpreti della fotografia locale.
La presentazione è stata curata dallo stesso Giupy Boles. Si intitola ‘Scattando una fotografia’ ed è un testo poetico, di una poetica alla Boles: mai scontata e mai banale.
“Quando guardo il cielo penso al fatto che qualcuno scrisse che blu è il colore della mente.
Quando guardo un albero non penso all’albero in sé. Mi chiedo invece fino a che punto si siano spinte le sue radici per poterlo reggere e nutrire.
Quando qualcuno si accende una sigaretta vedo nella fiamma del suo accendino lo stupore di chi vide il fuoco per la prima volta.
Quando guardo un bambino penso alle foreste distrutte, al polo che si riduce e a quali scuse potermi inventare per averlo consegnato ad un mondo in agonia.
Quando guido cerco d’immaginarmi che cosa avrebbero potuto vedere due occhi simili ai miei nello stesso identico posto mille, cinquemila, diecimila anni fa.
Quando bevo un bicchier d’acqua rifletto sul fatto che le sue molecole d’idrogeno hanno l’età dell’universo.
Quando mi alleno penso al corpo dell’uomo, alla sua meravigliosa complessità.
Quando cammino sopra un prato mi domando se l’erba che calpesto possa in qualche modo sentire dolore.
Quando guardo una nuvola rifletto sul fatto che in quei secondi ci sia qualcuno intento a fare esattamente la stessa cosa. Non sapendo se sia uomo o donna provo ad immaginare il suo viso domandandomi subito dopo dove quella nuvola si troverà di lì a qualche ora.
Quando un vento improvviso accarezza la mia pelle vorrei conoscere il luogo che ha generato il suo primo soffio.
Quando leggo un libro penso all’istante in cui la frase che mi ha tanto colpito è entrata nella mente dell’autore. Rifletto sull’impulso elettrico che ha attivato le sue sinapsi che a loro volta hanno dato l’ordine alla mano di mettere quell’emozione per iscritto consegnandola all’eternità del tempo.
Quando stringo una mano vorrei tanto sapere se ne nascerà un’amicizia.
Quando vedo una folla mi pongo da sempre la medesima domanda: tutta questa gente ha sogni da realizzare o si è rassegnata?
Quando ascolto la musica capisco che certe persone sono venute al mondo baciate dalla fortuna perché nate con l’armonia dentro.
Quando nevica non penso alla neve in sé ma mi stupisco del fatto che su tutta le terra non esistano due fiocchi uguali.
O due foglie.
O due onde.
O due nuvole.
Così come due albe o due tramonti.
Immagini su immagini che richiamano altre immagini.
Ragion perché io dico che una foto non scattata altro non è che un ricordo presto perduto. Dentro ogni scatto si cela la vana speranza di poter fermare con un click il tempo vissuto confermando una grande verità composta da sole tre parole:
RICORDO DUNQUE SONO”.
Appuntamento dunque domani alle 18 con gli autori ed il curatore. Le foto, per scelta, sono tutti ritratti e tutti in bianco e nero. In studio quelli di Beatrice, di strada quelli di Mario.
N.C.