La Matassa. Non
dimentichiamo la
tragedia del Vajont
Caro direttore.
sulla via del rientro da una bella vacanza in montagna con mia moglie Luisella a Nebbiù di Pieve di Cadore (Belluno), sabato 31 agosto 2019 abbiamo fatto visita al Cimitero monumentale delle vittime del Vajont sito in località Fortogna, comune di Longarone. All’esterno dell’ampio portale di accesso al camposanto, la cui forma richiama l’idea di una diga, oltre alle tre bandiere issate al vento della Serenissima, dell’Italia e dell’Unione europea, vi è una stele di vetro con una frase, tradotta in 12 lingue, che ricorda: “prima il fragore dell’onda, poi il silenzio della morte, mai l’oblio della memoria”. All’interno del portale, invece, disposte su due piani, ci sono diverse bacheche con alcuni reperti storici e numerose opere e fotografie ispirate alla sera del 9 ottobre 1963 quando una terribile frana dal pendio del Monte Toc invase il bacino idroelettrico del Vajont causando due enormi ondate che ebbero effetti devastanti in tutta la zona circostante.
Oltre la parte museale si accede a un vasto, curatissimo prato verde sul quale poggiano 1910 cippi marmorei bianchi, uno per ogni vittima della tragedia. Lì ci imbattiamo in un vecchio alpino di Riolo Terme (Ravenna) che nel 1963 venne in soccorso della popolazione. Vi ritornò poi in viaggio di nozze. Nel racconto era visibilmente emozionato. Dopo l’incontro con l’alpino, ripasso alla bacheca dei cimeli storici dove, in particolare, a fianco di una bambola, su un foglio di quaderno a righe, leggo la poesia “La matassa” scritta all’epoca da un autore di quei luoghi, Giano Perale.
La condivido per contribuire a tener viva la memoria del Vajont.
Cordiali saluti
La matassa
Farò una matassa di sogni
piena di nodi
dove le margherite riposano
e le rondini riposano
e riposano i grilli.
E giorno per giorno,
piangendo,
le mie mani troveranno i nodi
e sveglieranno le margherite,
le rondini, i grilli,
per fare una maglia di cielo
che tenga caldo
a un qualunque bambino
morto
a Longarone.
Giano Perale