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Andrea Devicenzi, 9 anni dopo la conquista del Kardlung: emozione che non finisce mai

MARTIGNANA DI PO – Una piccola videocamera portata a mano, tra gli applausi degli increduli indiani. Il pianto liberatorio, segno di un’emozione fortissima. Un’emozione fortissima che ancora, a 9 anni di distanza, mette i brividi. Era l’agosto del 2010 ed Andrea Devicenzi, l’Iron Man Casalasco, arrivava – primo al mondo con una sola gamba in MTB – in vetta al Kardlung (5.602 metri), concludendo la Manali Leh. Un’impresa titanica anche per normodotati. Non per lui, uno dei più grandi atleti che il Casalasco abbia mai annoverato nella sua storia.

Fu la prima delle grandi imprese dell’uomo di ferro di Martignana, portata a termine tra grandissime difficoltà, ambientali, climatiche e fisiche. “Un grande ricordo, ancora vivo, vivissimo nella testa e nel cuore” come lui stesso scrive stamattina. E mentre Andrea sta percorrendo a tappe ed in maniera ‘soft’ (è un eufemismo, ma concedetecelo) la via Francigena che a dicembre lo porterà a Roma, questo è un omaggio alla carriera di chi, persa una gamba in un incidente quando aveva solo 19 anni, ha fatto di quell’incidente una tappa di un viaggio in cui è ripartito con più forza.

Lo abbiamo incontrato la sera del 10 agosto al Centro Natura Amica in compagnia di Jessica e delle sue due figlie, la sua splendida famiglia, mentre si emozionava a guardare le stelle e la luna con gli astrofili bresciani di DeepSky. Ci ha raccontato di tanti progetti per il futuro in testa, ma avremo modo in futuro di parlarvene. Oggi lo celebriamo con il racconto, il suo, di quella splendida impresa che lo portò, primo atleta con una sola gamba, un anima, un cuore e una forza giganteschi lassù dove nessuno aveva osato prima.

“Partiti il 23 luglio da Malpensa i due giorni successivi sono serviti per il trasferimento nella città di partenza Manali, 15 ore di macchina per andare da New Delhi a Manali, in cui con Stefano siamo entrati subito in contatto con la gente ed abbiamo constatato da subito il grado di povertà di quella regione che poi ci ha seguito per tutto il raid.

Due giorni a Manali per ambientarci, preparare le bici e perlustrare un’attimo la zona poi il 26 luglio alle 8,30 partiamo per il primo passo, Rohtang pass.

Dopo due ore di nuvole incontriamo la pioggia che non ci lascierà mai per i successivi due giorni, le difficoltà a cui eravamo più o meno pronti non tardano ad arrivare e la colonna di camion che ci si presenta davanti ci fa subito capire che sarà una giornata lunghissima.

Dopo cinque ore arriviamo al nostro primo dei tanti passi che riusciremo a conquistare.

I giorni successivi sono stati un insieme di emozioni, sofferenza ed anche forse paure indimenticabili, affrontare una strada così di 700 km con le Mountain bike ci ha permesso di entrare a contatto con la gente locale di ogni villaggio e vedere nei loro occhi anche ammirazione e stupore per quello che stavamo facendo.

Otto, nove ma anche dieci ore in bici al giorno farebbero pensare che una volta arrivati alla meta di giornata tutto sia fatto, invece no, l’avventura iniziava appunto in quel momento, stremati dalla fatica si doveva andare a cercare da dormire, lavarsi e mangiare, le scorte che avevamo era sempre meglio lasciarle per le emergenze. Siamo riusciti quasi sempre a trovare sia da dormire che da mangiare, ovviamente l’arma dell’accontentarsi era d’obbligo, 10 centisimi di euro in due abbiamo pagato a Koksar (seconda tappa) per dormire e poco più per mangiare, per l’acqua calda invece è stato più un problema.

Non sono mancate nemmeno le lacrime, arrivare a quota 5.000 metri con alle spalle 30/40 km di continua salita, stremati ed anche un pò affamati ma con l’adrenalina al massimo non si riusciva a trattenersi, pensavo alla mia famiglia ed a tutte le persone che avevano potuto rendere possibile quell’obiettivo.

Un traguardo simile, essere il primo disabile al mondo ad ever percorso quella strada ed aver poi conquistato la vetta del Kardlung La a quota 5.602 non sia solo merito mio ma da un insieme di persone che ci hanno creduto fin dall’inizio, sicuramente mia moglie, rimasta a casa con due bimbe di 5 anni e di tre mesi, il team manager della squadra Daniele Zammicheli, il mio compagno di viaggio Stefano Mattioli, preparato all’esperienza che mi ha aiutato quando ce ne era bisogno, agli sponsor ecc…

Raid inizialmente di 9 giorni, 8 giorni + 1 di scalata al Kardlug La partendo dalla città di Leh, con una “sparata” finale negli ultimi giorni, riuscendo a fare 4 tappe in due giorni, vale a dire circa 140 km per giorno, siamo arrivati alla meta con due giorni di anticipo, questo ci ha permesso di preparare con più calma l’ascesa alla vetta carrozzabile più alta del mondo.

Sono stati due giorni in cui, oltre a riposarsi, abbiamo potuto fare i turisti girovagando per la città, acquistando dei piccoli ricordi per amici e parenti e visitare la città oltre che a pranzare e cenare seduti ad un tavolo, gustandoci anche una pizza Italo/Indiana niente male.

Mattina del 4 agosto, il proprietario dell’alberghetto ci porta l’indispensabile permesso firmato dall’autorità per poter scalare la vetta, ultimi preparativi ed alle 7,45 iniziamo la scalata, leggermente stanchi dai giorni passati ma anche dal tempo che durante la notte non ci ha mai fatto dormire per il forte vento e la pioggia.

Le nuvole, fino a tre quarti di strada non ci abbandoneranno mai se non per pochi minuti, non dandoci mai modo di vedere i fantastici paesaggi che avevamo di fronte ma concentrarci al 100% sulla strada.

A mezz’ora dalla vetta, dopo più di 5 ore il celo si è incredibilmente aperto mostrandoci in tutto il suo splendore le vetta che avevamo poco vicino, un blu mai visto prima ed il bianco della neve.

Le macchine che ci avevano superato la mattina presto iniziavano a scendere e non mancavano mai di incitarci, loro sapevano che la cima era vicina, noi no, non ci pensavamo, a quella altitudine con la respirazione faticosa data dall’altitudine e la stanchezza che oramai domina il nostro fisico si guardava fisso la strada come per mangiarla, la sfida con la montagna stava finendo, il verdetto era vicino.

Ad un tratto, alzando gli occhi al cielo intravedo i primi Mantra (preghiere Tibetane), i passi precedentemente conquistati mi insegnano che il passo è a pochi metri, impugno la telecamera e filmo quegl’ultimi 100 metri di scalata che mi portano ad essere il primo disabile amputato ad averla scalata, cade qualche lacrima ma l’aver portato a termine quell’impresa con sacrificio è un’emozione che non puoi tenere dentro.

Anche in questo caso la popolazione Indiana non si smentisce, una ventina di persone accorrono ad aiutarmi, sorreggere la bici, chiedermi se avevo sete, ecc….c’è chi tiene la telecamera e mi filma mentre indosso la maglia comprata due giorni prima con cucito il disegno stilizzato della vetta appena conquistata, non ancora ovviamente indossata per scaramanzia.

Ci si prepara per la discesa, abbigliamento invernale e si scende fino a Leh, dopo pochi minuti non solo inizia a piovere ma si aggiunge anche la grandine, la magia delle montagne con i suoi cambi improvvisi meteriologici continua.

La giornata successiva è occupata dai preparativi per il ritorno in Italia e da piccoli acquisti per parenti ed amici poi a cena, ci stacchiamo dalla cucina indiana che ci ha alimentato per 15 giorni e ci concediamo in un ristorante “italiano” con il nome “la pizza” una margherita di tutto rispetto.

Dopo una notte con tuoni, fulmini, acqua che entrava dal tetto della nostra camera ci incamminiamo per l’aeroporto, la sorpresa è in agguato, i militari ci informano che nella notte una colata di sabbia e fango ha, oltre che devastato parte della città, è arrivata sulla pista di decollo e che con molta probabilità i voli della giornata sarebbero stati cancellati.

Una lunga attesa fino a tardi serata e la conferma che il ritorno a casa avrebbe dovuto attendere ancora almeno un giorno.

Completamente al buio, il crollo della montagna infatti ha fatto crollare la palazzina delle comunicazioni e dell’energia, ci avviamo alle 4 del mattino verso l’aeroporto, ancora una giornata intera di attesa per essere inseriti in un qualsiasi volo dove ci fossero due posti liberi ma niente, alle 18 dobbiamo rifare ancora tutto daccapo, trovare un taxi (rarissimi), albergo, dormire, mangiare ecc…

Dopo una notte tutt’altro che tranquilla con le montagne vicine “traballanti” alle 8 del 8 agosto si decolla per New Delhi, 19 ore di attesa all’interno dell’aereoporto e si sale sul’aereo che ci porterà ad Instambul e poi a Malpensa.

L’abbraccio interminabile con mia moglie appena arrivato a Martignana di PO la dice lunga sul sacrificio fatto nei giorni precedenti, non smetterò mai di ringraziarla, un’impresa simile fatto da padre e da uomo sposato è possibile solamente se la donna con cui stai ti appoggia al 100% e comprende la tua passione, magari anche senza amare il ciclismo, semplicemente perchè ti ama”.

Andrea Devicenzi è atleta Casalasco, originario di Casalmaggiore ed ora residente a Martignana Po. Ma Andrea è soprattutto un uomo di quelli – esempio per tutti – che invita a non arrendersi mai sino alla fine.

Nazzareno Condina

 

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