Cronaca

PoGrande, quando tutto è partito. Albertoni: "Nel 1994 ci prendevano per folli..."

"All'inizio prevaleva uno scetticismo totale. Oggi sono più percorribili gli obiettivi di attirare l’attenzione degli enti superiori: anche il Comune di Cremona aveva allora poco entusiasmo, tanto che lavoravamo più con Parma" spiega l'ex sindaco di Motta.

Come già la sorgente del Po e la sua foce, anche il tratto medio del Po è Riserva Biosfera Mab Unesco. Lo ha proclamato l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura mercoledì nella sede di Parigi. A distanza di un anno dalla presentazione della candidatura, gli 85 comuni rivieraschi distribuiti nelle province di Cremona, Lodi, Pavia, Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Mantova e Rovigo possono esultare.

«Da oggi – è stato il commento dalla sede Unesco del Segretario Generale del Distretto Po Meuccio Berselli – i territori che abbiamo messo in rete hanno uno strumento di straordinario valore per migliorare il loro ambiente e renderlo attrattivo in forma collettiva a beneficio comune sia di chi abita questi luoghi suggestivi sia per le migliaia di turisti ed interessati che fino ad ora hanno vissuto habitat, paesaggio e ricchezze culturali e produttive in modo disomogeneo. Ringrazio sentitamente il Ministero dell’Ambiente, il Governo, le Regioni Veneto, Emilia Romagna e Lombardia, i comuni e tutti i partner a partire da Legambiente Emilia Romagna, Fondazione Collegio Europeo e Università di Parma e tutti coloro che hanno creduto nell’impresa. Con Po-Grande vogliamo infatti unire con una progettualità concreta ciò che il fiume divide, comprensori territoriali confinanti che, pur mantenendo singolari caratteristiche da area ad area, sono inscindibilmente legati da valori comuni connessi all’habitat, alla biodiversità, alla cultura, alle tradizioni ai mestieri e ai rilevanti valori delle produzioni di eccellenza agricola ed industriale».

I comuni cremonesi interessati sono 16, tutti rivieraschi ad eccezione di Scandolara Ravara, Cingia de’ Botti, Malagnino e Bonemerse, compresi comunque nell’elenco. Del grande risultato ottenuto parliamo con uno degli amministratori che più di altri hanno puntato in tempi non sospetti sulla valorizzazione del fiume Po. Si tratta di Franco Albertoni, dal 1980 al 1985 assessore e dal 1985 al 2004 sindaco di Motta Baluffi. Fu sotto la sua amministrazione che venne istituito il Parco regionale Lanca di Gerole (compreso tra Motta e Torricella del Pizzo), fu realizzato l’attracco in lanca Ronchetto e venne inaugurato l’Acquario del Po, tuttora gestito da Vitaliano Daolio. Lo chiediamo all’interessato. «L’inaugurazione dell’acquario – ricorda Albertoni – fu l’ultimo mio atto, pochi giorni prima delle elezioni del 2004. Fu pianificato tutto il sistema degli attracchi, poi c’era il Gal che puntava sulla valorizzazione del fiume (Motta fu tra i promotori). Sottolineo anche il tema su cui si dovrà tornare a ragionare del fiume da vivere, vale a dire le iniziative culturali sul grande fiume iniziate nel 1998 per unire le due sponde: partimmo in 6 comuni per arrivare a 14-16».

Ricordo che prevaleva la diffidenza. «Uno scetticismo totale. Oggi sono più percorribili gli obiettivi di attirare l’attenzione degli enti superiori: anche il Comune di Cremona aveva allora poco entusiasmo, tanto che lavoravamo più con Parma. Oltre all’Acquario ricordo anche il Museo Paleontologico di San Daniele Po, nato in modo amatoriale. Col Gal si avviò il tema dei percorsi con cartellonistica». Addirittura Albertoni risale ad un vecchio progetto datato 1994. «Si tratta di una progettazione sperimentale dell’Autorità di Bacino con un architetto e un responsabile di progetto che a seguito dell’alluvione del ’94 avevano predisposto e presentato un progetto per realizzare un ecomuseo che riguardava Motta, Torricella, forse San Daniele e Roccabianca e mi pare di ricordare Zibello e Sissa, che prevedeva la valutazione di percorsi e la messa in connessione dei due territori. Direi che tutto partì da quel 1994 quando il Po si presentò con una grande alluvione che creò attenzioni nei suoi confronti. Partirono da lì iniziative promosse per mettere in connessione le due sponde che storicamente stavano sulla difensiva: il tema era la difesa degli argini e ognuno temeva che i cittadini della sponda opposta li indebolissero, una diffidenza di fondo. Allora ci fu la ripresa del dialogo col risultato odierno che i visionari di allora videro bene: il fiume era non una minaccia ma una risorsa su cui bisognava lavorare mettendo in rete enti con attenzioni diverse. Un’attenzione sul Po che in Emilia si è sempre manifestata più che in Lombardia, che storicamente ha sempre visto il fiume come una cosa lontana».

Il marchio Unesco farà crescere la sensibilità di noi che sul fiume viviamo? «E’ un elemento corroborante di questa consapevolezza che deve essere vissuta come necessità di messa in rete dell’intero territorio. Sul delta del Po lo stanno già facendo in modo avanzato. E’ rilevante anche l’aspetto formativo, cioé il sapere che si tratta di una risorsa che non dà risposte domattina ma che in prospettiva garantisce la vita di questi territori». Nel complesso questo riconoscimento cosa può cambiare? «Crea un’opportunità: il territorio può essere parzialmente protagonista: se non si mettono in campo azioni positive si rischia di vedere salvaguardato il territorio ma senza trarre benefici di vissuto territoriale. Oggi ci sono piccole emergenze consolidate anche nei nostri piccoli paesi che vanno messe in rete per garantire il mantenimento delle azioni fatte: il piano attracchi forse è partito presto rispetto alla domanda, ma va mantenuto, per evitare la presenza di cattedrali nel deserto».

Un aspetto particolare riguarda gli operatori economici della golena che in questi casi vedono soprattutto un rischio di nuovi vincoli. «Capisco che ci possa essere preoccupazione ma l’esperienza dovrebbe avere dimostrato come sia possibile gestire processi di delimitazioni di aree protette senza pregiudicare l’attività ordinaria degli operatori agricoli. Se ben gestiti questi passaggi possono costituire anche una risorsa per soggetti che stanno vivendo una profonda trasformazione. Sarebbe inopportuno non considerare queste problematiche, senza nascondersi: i problemi vanno conosciuti per risolverli».

Un altro aspetto su cui si spera di intervenire è il bracconaggio ittico. «E aggiungo la sicurezza della fruizione turistica fluviale: serve la consapevolezza che il territorio deve essere più presidiato. Oltre al bracconaggio c’è il tema del furto dei motori. Come si gestiscono i controlli sugli assi viari, bisogna considerarlo territorio da presidiare, come accadeva anni fa, e di strumenti per presidiarlo ce ne sono di innovativi grazie alla tecnologia». Certo se poi accade, come accade, che all’ingresso della golena si trovano cartelli di promozione del territorio e qualche metro in là sbarre che inibiscono l’accesso in quanto proprietà privata… «Questo è un tema da affrontare con l’Autorità di Bacino: i fondi non possono essere interclusi».

V.R.

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