Opinioni

Fiocco azzurro al Pronto Soccorso. Un motivo in più per cui combattere: la tutela della vita

E' stato tutto un territorio di confine, di confine all'impero longobardo e a quello dei cesari a dover ingoiare la decisione calata dall'alto. Tutto un territorio che adesso si trova a sperare che la gravidanza ed il parto possano essere regolari

CASALMAGGIORE – Si continua a combattere, nonostante tutto. Nonostante un pronunciamento del TAR su una richiesta di sospensiva della chiusura del Punto Nascite chiesta da 21 dei sindaci del comprensorio Oglio Po caduta nel vuoto, pronunciamento in cui vi sarebbero già, secondo molti esperti della materia giuridica, una sorta di traccia della sentenza definitiva. Si continua a combattere perché le nascite non sono tutte e sempre prevedibili, perché venire al mondo non è – nonostante la conoscenza medica raggiunta – mai cosa semplice e priva di rischi.

I rischi esistono, ancor di più quando non si può fare affidamento su un Punto Nascite a poca strada da casa. Ieri notte un bimbo è venuto al mondo in un Pronto Soccorso, quello del nosocomio casalasco. Ma c’è chi è nato in casa, o a metà strada dalla struttura ospedaliera. Non vi sono garanzie per i parti ‘non programmabili’, per quelli improvvisi e non preventivabili. Un Pronto Soccorso, un’ambulanza o peggio – come cinquant’anni fa le pareti domestiche non sono certo il luogo migliore in cui una vita può venire al mondo.

Non lo hanno colto in Regione, dove si è tenuto conto unicamente del computo numerico di una normativa nazionale ormai superata che richiede un certo numero di nascite per considerare un reparto sicuro. Come se il numero di nascite fosse, di per se stesso, sinonimo di sicurezza. A volte i bimbi muoiono in strutture di grandi città, è già successo e succederà ancora. C’è sempre una componente di imponderabile che va oltre al numero. Il paradosso di Vicomoscano e del suo punto Nascite è che davvero quel reparto, con quelle professionalità, era un luogo sicuro in cui nascere. Un luogo in cui l’aspetto umano ha sempre avuto un ruolo fondamentale. Un luogo semplice da raggiungere anche per le gestanti che a quell’ospedale hanno sempre fatto riferimento.

Neppure a livello nazionale l’importanza di un reparto come quello del nosocomio cittadino è stato colto in pieno. Non vi è stata, nonostante i solleciti dei consiglieri regionali del movimento cinque stelle – a cui va dato il merito di averci provato – a smuovere le acque, una particolare reazione nelle stanze romane. Le istituzioni sono vicine ai cittadini in regione, se i cittadini sono di milano, o al limite bergamo o varese e – a roma – se non ci si sposta troppo dalla capitale. Il resto è periferia.

Ma si continua a combattere. Lo fa un Comitato a difesa dell’Oglio Po e lo fa da anni, lo fa il personale della fu struttura di Vicomoscano, lo fanno le mamme che ancora sperano, che ancora lottano, che ancora si schierano ogni voilta a viso aperto contro la più assurda delle decisioni. Lo fanno tanti cittadini che hanno capito l’importanza di non cedere neppure di un passo, nonostante tutto, di non chinarsi di fronte alla logica del – ti tolgo qualcosa ma ti dò altro -. Lo fanno tante persone di buon senso, al di là degli schieramenti politici che in questi casi contano sino lì, soprattutto a livello di base.

“La nascita di ieri al pronto soccorso – scrive questa mattina Jessica Lazzarini, del Comitato a difesa dell’Oglio Po e del gruppo Io sto con il Punto Nascite Oglio Po – ha riacceso, in molti di noi, la speranza che il nostro punto nascite possa tornare ad essere funzionante e ad accogliere nuovamente la Vita; già… perchè di questo si tratta, della Vita! Tempo fa qualcuno mi ammoniva per ciò che io e altre persone come me stiamo portando avanti dicendo che ‘Mi ha colpito molto la tua volontà, ma a volte non bisogna fissarsi sul voler ottenere le cose a tutti i costi, perchè la situazione presenta criticità e punti deboli la chiusura è la scelta più sicura’.

Premettendo che non sono mai stata d’accordo con questo punto di vista, anche alla luce dell’ultimo parto in pronto soccorso, e che diversi specialisti hanno affermato che la sicurezza può essere garantita anche con 499 parti, 350 o 200 (vedi Cavalese, riaperto dopo oltre due anni di impegno costante e ferrea volontà da parte di tutti), ritengo che la chiusura sia stata, in realtà, la scelta meno sicura, ma meno faticosa.

Senza entrare nei dettagli della decisione presa, il disagio tra le future mamme è palpabile e diffuso. Molte di loro, da quando la sala parto è stata chiusa, oltre a pensieri tipo “Chissà, magari partorirò sul ciglio della strada al km 22 verso Cremona, o nel parcheggio dell’ospedale…” lamentano il fatto di dover fare molti chilometri anche solo per sottoporsi ad un tracciato di controllo. Ricordo la mia gravidanza… la mia prima figlia nacque una settimana esatta dopo il termine, con induzione, perchè proprio non voleva lasciare il pancione… Oltre il termine previsto la frequenza dei tracciati aumenta e la futura mamma è costretta a spostarsi più spesso e, ad oggi, a percorrere tragitti in auto di non pochi chilometri, magari con nebbia, ghiaccio e traffico. La realtà non sta sui documenti firmati attorno ad un tavolo; quella è solo una parte della realtà. La realtà vera sta nelle difficoltà di chi, tali documenti, li ha dovuti ingoiare per forza”.

E’ stato tutto un territorio di confine, di confine all’impero longobardo e a quello dei cesari a dover ingoiare la decisione calata dall’alto. Tutto un territorio che adesso si trova a sperare che la gravidanza ed il parto possano essere regolari, che non si debba nascere all’improvviso, in un pronto soccorso, o per strada. Tutto un territorio dimenticato, di poco conto e scarsamente considerato, senza alcuna rappresentanza di peso e senza voci autorevoli che possano levarsi in sua difesa.

La speranza ancora c’è. E’ una piccola luce, quella di una lampara nel profondo mare, ma seppur per quella piccola speranza, c’è chi ancora combatte.

Nazzareno Condina

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