Cremonese e parmense uniti, tredicesima volta in Centro Italia per portare aiuti
La staffetta cremonese e parmense prosegue, grazie a tutti i patners coinvolti e ai volontari che ogni volta decidono di raggiungere quei luoghi in cui ancora c’è bisogno di aiuto. E grazie ai residenti, a chi ancora combatte, a chi non lo fa più e resiste comunque
CREMONA / MARTIGNANA DI PO – Si è chiusa, domenica sera, la tredicesima spedizione dei volontari di Amici Centro Italia nelle frazioni di Amatrice. Dieci per l’esattezza, tra i quali il vicepresidente di Confcommercio Cremona Federico Corrà, il presidente dell’Atletica Interflumina Carlo Stassano e l’ex sindaco di Casalmaggiore Luciano Toscani. Un viaggio in cui si è constatata la presenza di qualche SAE in più, qualche progetto portato a termine o in fase realizzativa ad Amatrice e il solito – e triste – deserto di tante delle frazioni. In tante le pietre e le case sono quasi esattamente nelle condizioni dell’agosto del 2016. Molti coloro che hanno contribuito alla raccolta. Tra gli altri a Cremona, Ferraroni (fioccato), nel casalasco Alimentis (pasta), Pomì (conserva di pomodoro), AIL Oglio Po, Associazione Bi Genitori, Cleca SPA (budino san martino, brodo), Rotam di Remedello (cibo per animali soprattutto), Laura Passerini oltre a tanti altri cittadini che hanno portato alimenti per animali ed umani e prodotti per la pulizia. Un viaggio del quale raccontiamo qualche tappa.
CONCHE – Tanti piccoli borghi. Alcuni di una decina di case, arroccati a valle o sulle spalle della montagna. Tanti piccoli borghi addormentati, vegliati da qualche anziano come Gianfranco, l’ultimo abitante di Conche. Una vita passata a fare il giornalista e poi – dal giorno del terremoto – la decisione di vivere qui, in riva al lago, in compagnia dei suoi due cani e dell’esercito dei gatti che popolano un cumulo di case tenute in piedi in qualche modo, o venute giù. “Sono scesi dalla montagna, dai paesi a monte – racconta – qui hanno trovato cibo. Mi hanno dato una casetta a Poggio Vitellino, ma non posso spostarmi. Chi li curerebbe poi?”. Non si è mosso nulla in due anni e mezzo. Nulla: “Ogni tanto viene qualcuno, fa delle misurazioni, guarda le case e poi se ne va. Mi avevano dato una roulotte, ora la rivogliono indietro”. Gianfranco si lascia prendere dalla commozione, dallo sconforto. Ha due roulotte, unite da un telo in plastica a fare una piccola veranda. Sotto il fornello. Cento metri più sotto la sua casa. “E’ ancora agibile – ci spiega – ma non lo sono quelle a fianco. Non posso entrarci, non posso abitarci perché se crollano quelle ci resto sotto. Ci tengo la luce accesa ogni notte, almeno si riparano i gatti”. E’ forte come una roccia Gianfranco, ma due anni e mezzo vissuti così ucciderebbero un toro. Ed anche lo stato d’animo è quello di chi sa di combattere una battaglia persa, di chi sa che resistere non servirà a nulla. Conche è un borgo dolcissimo, appoggiato alle rive del lago, raggiungibile da una piccola deviazione sulla strada principale. Sono già venuti anche i predoni, in una notte in cui era solo ad affrontare gli eventi. “Li ha allontanati il cane, ma prima o poi verrà qualcuno più forte e gi farà del male, lo so. Portano via tutto, il ferro, le ante delle finestre, le porte e poi lo rivendono. Qui funziona così. Se non ci fossi probabilmente avrebbero già spogliato le case di tutto quello che è vendibile”. Conche dorme, morto l’agriturismo, morto il bed & Breackfast, morte le case, morta la piccola chiesa i cui banchi, prima o poi spariranno. L’alba, da queste parti, è struggente come una poesia. Ma il risveglio è nel silenzio, in quei gatti che guardano e poi fuggono via. Nelle pietre legate da grosse placche d’acciaio e traverse in legno. Due anni e mezzo e il nulla.
POGGIO VITELLINO – Il borgo è abitato da due persone, le uniche che sono riuscite a resistere. Aggrappati ad una montagna le case sembrano quelle di un piccolo presepe. Quasi nessuna si è salvata dal doppio sisma. I residenti – quelli che sono rimasti – sono stati spostati sulla montagna. La strada per raggiungere le SAE (Soluzioni abitative di emergenza, le casette) è impervia, con tratti di salita davvero difficili da affrontare con i furgoni. Qualcuno resta giù, i più temerari si inerpicano. Ad attendere un gruppo di famiglie, ognuna con i propri problemi, ognuna con il proprio vissuto. Hanno cani e gatti. “Non voglio niente per me, mi arrangio – ci spiega il più giovane tra di loro, l’età media è piuttosto alta – se però ci fosse un po’ di crocchette per i cani e i gatti ve ne sarei grato”. E’ un motivo comune in tanti luoghi attraversati, gli animali qui sono importanti come le persone. Forse perché come le persone resistono, forse perché a presidiare tanti piccoli borghi senza vita non restano che loro. Ogni tanto ne trovi qualcuno ai bordi della strada. Un chilometro più sotto, all’incrocio che porta verso Casali, c’è n’è uno senza vita. Un tigrato magrissimo, nessun segno di trauma evidente. Qui di auto ne passano poche e, viste le strade, la velocità è estremamente bassa. Forse si è spento di stenti. Poggio Vitellino è uno di quei centri aggiunti da pochi viaggi in quelli seguiti da Amici Centro Italia. L’incontro con un residente che spiegava che nessuno li raggiungeva mai per portare aiuto è bastato per aggiungerli al gruppo. E’ gente difficile quella di Poggio Vitellino, gente caratteriale, spenta dalla solitudine, o arrabbiata col mondo. Tra loro, intento a dare da mangiare agli asini e ai cavalli al margine delle SAE, l’ex gestore del ristorante di Conche. Un tempo il suo locale si affacciava sul lago. “Il terremoto – spiega – ne ha fatto sprofondare una parte che ormai è inagibile, ma c’è l’altra da cui si potrebbe ricominciare. Ho chiesto di poterlo fare ed in cambio mi hanno offerto quella che loro chiamano delocalizzazione temporanea”. In parole semplici, la possibilità di ricostruire il locale – naturalmente in legno – con un contributo istituzionale. “Una bella fetta di soldi però ce la devo mettere io, in una struttura che resterebbe comunque temporanea e prima o poi dovrei smontare, pur avendoci messo dentro dei soldi miei. Ho provato e più volte a spiegare che sarebbe meglio che quei soldi, i miei ed il contributo che possono darmi, lo impiegassi per far ripartire la mia vecchia attività dove era, abbattere la parte ormai inservibile e recuperare quella che si può recuperare. Ma continuano a dirmi che non è possibile. No, non abbiamo futuro”. Accarezza il cane, un pastore gigantesco che veglia sugli asini ed i cavalli nelle notti di lupi e cinghiali. “Non c’è un senso logico in quel che si può fare. Perché buttare via soldi in una soluzione temporanea quando si potrebbe ricominciare a pensare a soluzioni definitive?”. Vorremmo augurargli buona fortuna, ma sembrerebbe una presa per il culo. Supera lui stesso il nostro imbarazzo. “Ormai non sai più in cosa sperare. Do loro da mangiare” dice, carezzando il cane in quel piccolo pezzo di terra tra fango e filo spinato. All’orizzonte solo nuvole e vento. E forse ricordi, cocci aguzzi di bottiglia a fare ancor più male.
MUSICCHIO – Sei SAE, messe su due livelli. Sei famiglie per le quali il Natale sarà un po’ diverso. Tocca a loro, questa volta, il grosso contributo: generi alimentari, prodotti per la pulizia, il pandoro offerto dall’Atletica Interflumina, il pomodoro della Pomì, l’olio ed il caffé donati dall’AIL Oglio Po, i biscotti della Barilla. E poi ci sono i gatti. Luciano Toscani ne vede un paio vicino a quelle casette e decide di aprire una scatoletta con dell’umido. In pochi istanti sono almeno una decina quelli che lo circondano affamati. Si fanno poche remore di cani in giro o di persone, per il cibo vale la pena correre qualche richio in più. Da una delle SAE esce una signora anziana. I gatti li cura lei, con quel poco che ha. “Ormai non viene quasi più nessuno – racconta un signore – è una bellissima sorpresa questa”. Il gruppo parmigiano e cremonese è un po’ quello dei babbi natale. Ci sono anche due giovani ragazzine, vivono in quelle case e ci vivranno ancora a lungo.
CORNELLE – Una famiglia di allevatori, nella parte bassa, un gruppo di ragazzi, radunati attorno al padre, nella parte superiore della frazione. Sotto gli allevatori tengono duro. La loro casa è completamente rasa al suolo, dormono in una casetta. Oltre agli animali da allevamento hanno raccolto tutti i gatti del paese. “Sono una quarantina – spiega la donna – che vengono tutti qui. Non li possiamo abbandonare”. Grazie al WWF almeno qui sono stati quasi tutti sterilizzati. Spuntano da ogni dove. Uno dei cani di loro proprietà sta addentando una fetta di pane come fosse il più ambito dei trofei. L’altro veglia, dall’altra parte della strada. L’altra parte della strada. Sotto un cumulo di macerie è chiusa una delle storie – tra le tante – più laceranti del terremoto. Una storia di tre vite spezzate. Quella di una nonna, e dei suoi due giovani nipoti, rimasti sotto le pietre. A raccontare quei momenti Marco. Vive, almeno nei week end (il resto della settimana ci sta il padre) nella parte alta di Cornelle, con i cavalli. Una piccola rimessa riadattata e le roulotte. “Li ho tirati fuori io da sotto le pietre scavando a mani nude, quelli erano i miei nipoti”. A due anni e mezzo di distanza, la voce si spezza ancora ricordando quei momenti. Resiste Marco: “Staimo mollando – spiega – non c’è futuro. Abbiamo 15 cavalli, un tempo qui venivano scuole e facevamo ippoterapia, aiutavamo i bambini con difficoltà. Era un bel lavoro ma adesso, che prospettive abbiamo? Per un cavallo ormai non ti danno più di 300 euro, li venderemo comunque”. Il paesello in alto è un crocevia. Da qui puoi raggiungere altre case sino a che poi la strada si ferma e devi tornare indietro. “La mia famiglia sta a Roma, io vengo nei fine settimana a dare una mano a mio padre che ha deciso di restare qui. E’ inutile sperare che un giorno si possa riavviare l’attività qui a Cornelle. Chi ci può raggiungere qui?”. Ci offrono un caffé. Di gente qui se ne vede davvero poca. Parla di quel che è stato, di quello che non sarà più. Parte del fioccato di Ferraroni e del Consorzio agrario raccolto a Martignana va ai suoi cavalli. E’ un piccolissimo aiuto. Si scende che è già sera. La rassegnazione lascia spazio ad una piccola speranza solo quando Marco parla delle due figlie: “Sono tutte e due campionesse di ginnastica artistica, anche se la più grande vuole smettere”. E’ per loro che – in fondo – si continua a combattere.
COLLEGENTILESCO – Ci arriviamo quasi per caso. Una piccola piazza con una piccolissima Chiesa, quella della Madonna della Mercede. Lesionata, non sappiamo quello che si è riusciti a salvare. Né possiamo chiederlo a qualcuno. Tutte le case in cima al colle sono state abbandonate, in paese non c’è più nessuno. Un altro piccolo borgo fantasma, tra i tanti.
Ci sarebbero tante altre storie da raccontare nella due giorni della tredicesima discesa nelle frazioni di Amatrice del gruppo Amici Centro Italia. Torrita, Casali di Sopra e di Sotto, Saletta, Accumoli, Capricchio, Scai sono gli altri centri raggiunti dal gruppo formato da volontari di Cremona, Parma, Casalmaggiore e Martignana di Po. Parte del materiale raccolto è avanzato per un prossimo viaggio, probabilmente a febbraio. La staffetta cremonese e parmense prosegue, grazie a tutti i patners coinvolti e ai volontari che ogni volta decidono di raggiungere quei luoghi in cui ancora c’è bisogno di aiuto. E grazie ai residenti, a chi ancora combatte, a chi non lo fa più e resiste comunque. Il viaggio è stato seguito, come sempre, nella domenica, da Antonella Poma del WWF.
Nazzareno Condina