Cronaca

Si è spento all'Oglio Po Angelo De Simone, aveva 70 anni

Oltre ai figli Davide e Gian Matteo Angelo lascia la moglie Daria, la nuora Rossana ed gli amati nipoti Benedetta e Francesco. Il rosario verrà recitato presso la camera mortuaria

CASALMAGGIORE – Ha smesso di camminare, Angelo De Simone, 70 anni, ieri sera all’ospedale Oglio Po. Si è spento piano, accudito dall’amore infinito dei suoi familiari. Si è fermato, dopo una settimana di lotta e qualche giorno di ospedale.

Lo ha fatto così, per come aveva vissuto, in punta di piedi con tanti valori positivi da comunicare ed insegnare – gli stessi che aveva insegnato ai figli Davide e Gian Matteo – e la volontà di non gravare su nessuno. Lo ha fatto con la leggerezza di chi cammina verso l’altra parte del cielo.

La storia di Angelo e della sua famiglia ve l’avevamo narrata nel settembre scorso (la riproporremo in fondo al pezzo). Una storia emblematica del progredire di una malattia neurodegenerativa come quella che aveva preso l’uomo con l’esordio nel febbraio del 2012. Sei anni e mezzo, in cui ha vissuto una progressione della malattia senza perdere mai, sino a dieci giorni fa, la voglia di camminare. Era proprio quel continuo camminare uno dei legami più forti con la realtà.

Angelo De Simone, di origini campane, si era trasferito a Casalmaggiore nel 1981. Mente estremamente razionale, aveva fatto il magazziniere per varie ditte della zona e del parmense, Ferrotubi, Spagna Tubi e Acciai, Siderdelta, Siderimpex. Proprio nella Siderimpex, per l’estrema meticolosità con cui portava a termine il suo lavoro, era diventato uomo di fiducia di Marino Dondi.

Oltre al lavoro era il calcio la sua passione. Tifoso interista, era entrato come dirigente nella Casalese di Carlo Sante Gardani e nella Casalese avevano mosso i primi passi i figli. Fu proprio Carlo Sante poi a portarlo con se negli anni d’oro del progetto scuole calcio Parma: “Era un uomo di estrema fiducia – spiega Gardani – uno di quelli su cui potevi contare. Sempre presente, generoso ed attivo. Era con me quando in giro per l’Italia facevamo i provini per il Parma. Visionavamo tantissimi giovanissimi atleti al giorno e lui era un’organizzatore nato. La gestione di quel movimento con lui era più semplice”.

Quando quell’importante progetto poi era stato accantonato dal Parma, Angelo De Simone aveva seguito Carlo Sante Gardani ancora una volta alla Casalese. “Aveva scelto di occuparsi del magazzino, ma si prestava a tutto, dalla gestione del campo all’accompagnamento delle squadre”. Poco prima che anche Carlo Sante Gardani gettasse la spugna, si era ritirato: “Era venuto da me in ufficio per dare le dimissioni. Tentai di convincerlo a restare, ma in quel calcio in cui ‘ognuno faceva quello che voleva’ lui non si trovava più”.

Era stato anche un attivo volontario: aveva seguito lo sviluppo ed il lavoro della consulta giovanile ed era stato uno degli attivi volontari di ‘Nonni a bordo’ e, sino a che la testa glielo aveva consentito, anche della Croce Rossa.

Nel 2012 poi i prodromi della malattia, una forma di demenza piuttosto rara, che colpisce il 5% di chi soffre della patologia e si manifesta ancora in giovane età. Una progressiva discesa verso l’inconsapevolezza sino a ieri, quando si è arreso.

Era un angelo che il cielo aveva prestato agli uomini. Torna nel luogo a lui più congeniale. Incontrarti, conoscerti, amarti è stato meraviglioso. Queste le parole con cui lo ha voluto salutare per sempre la moglie Daria.

Oltre ai figli Davide e Gian Matteo Angelo lascia la moglie Daria, la nuora Rossana ed gli amati nipoti Benedetta e Francesco. Il rosario verrà recitato presso la camera mortuaria venerdì alle 18.00 Il funerale si terrà sabato mattina nella chiesa di Santo Stefano alle 10. Il corpo poi come da desiderio dello stesso Angelo, verrà cremato.

Non fiori ma i familiari chiedono di devolvere eventuali offerte all’ospedale “Fatebenefratelli” di Brescia, all’Istituto Ospedaliero di Sospiro e all’Ass. Frontotemporale di Brescia.

Nazzareno Condina

CASALMAGGIORE (10 settembre 2017)– Il 21 settembre sarà la giornata mondiale dell’Alzheimer, una malattia neurodegenerativa, il male del secolo come è stato definito. Una malattia legata alla qualità della vita: la speranza di vita si allunga ma il processo di invecchiamento no. L’Alzheimer non è l’unica malattia degenerativa o cognitiva: tra queste rientrano ad esempio anche il Parkinson o le demenze. Non sono malattie che coinvolgono unicamente il paziente, ma anche e soprattutto i familiari. Ed è importante l’opera di sensibilizzazione.

Passo dopo passo, anche se la strada è dura. Perché la malattia – soprattutto quando è malattia mentale – cambia la vita. Di chi ne è afflitto ma soprattutto di chi resta vicino, il care giver, i parenti più stretti. Perché tutto il resto si perde per strada. E non è la memoria, non è la capacità di fare tutto quel che si faceva prima in modo consapevole. Quel che si perdono, ed è la cosa più grave, sono i legami col mondo, gli amici, le persone che un tempo consideravi care. Perché un malato è solo, e ancor di più lo sono i familiari più stretti. Angelo De Simone, passo dopo passo, ormai in maniera inconsapevole, sta affrontando l’avanzare della demenza senile.

E’ uno di quei casi particolari (il 5% della casistica mondiale) in cui la demenza subentra in età giovane. Le prime avvisaglie del male nel 2012: “Era febbraio – racconta il figlio Gian Matteo De Simone – ed ha cominciato a ripetere con insistenza le cose, continuava a chiedermi del tagliando dell’auto. Queste tipologie di malattie sono strane, subdole, si possono scambiare inizialmente per depressioni, scompensi glicemici, ma ci accorgemmo in fretta che c’era qualcosa d’altro. Peraltro, nei primi due anni, la malattia corre come un treno, vedi la persona che ami perdere qualcosa in più ogni giorno. Il distacco dalla realtà, dalle persone è progressivo. I primi tempi sono quelli più brutti, perché chi è vicino al persone si rende conto che queste diventano ossessive, poi si passa ad una seconda fase, in cui il malato perde tutte le sue funzioni”.

Un gran camminatore Angelo quando ancora era in salute, un gran camminatore anche adesso: “Era l’agosto dell’anno scorso. Io ero via, lui è uscito per la passeggiata di tutti i giorni. Il solito percorso, che ripeteva in continuazione ma che sino ad allora era riuscito a gestire in maniera autonoma, o quasi. Quando sono tornato a casa mi sono reso conto che non c’era. A fatica, e dopo varie telefonate e diverse ore di apprensione sono riuscito a recuperarlo a Motta Baluffi. Non riusciva a rendersi più conto di nulla. Da lì ho capito che non avrebbe più potuto restare solo neppure un istante”.

Da lì l’idea, camminare per non dimenticare, camminare con lui, perché la passione rimanesse viva, per non dimenticare, perché comunque la persona rimane, rimangono i suoi diritti, a ricevere le cure migliori, a non venire offeso in maniera oltremodo degradante in alcune situazioni che possono creare imbarazzo in pubblico. Le malattie neurodegenerative, purtroppo, vanno solo avanti, mai indietro.

Esistono delle cure? “Al momento no, nel nostro caso abbiamo provato anche una cura sperimentale a livello mondiale, grazie all’interessamento dell’Ospedale di Sospiro e del Fatebenefratelli di Brescia. Mio padre è un uomo fortunato, perché ci sono io e c’è mia mamma, oltre a mio fratello. E in Italia siamo comunque fortunati, perché ci sono le leggi, come la 104/92, che ci permettono di avere dei permessi dal lavoro e dare assistenza al malato oltre che sollievo al care giver. Ho pensato io a tutte le questioni burocratiche e devo ringraziare l’ASL di Casalmaggiore, che in tempi brevissimi ci ha attivato tutto quello che doveva e poteva attivare, il Comune che mi ha supportato ed è venuto incontro alle mie richieste ed il personale OSA che segue mio padre. Tutte persone realmente straordinarie. Non è semplice avere a che fare con i pazienti e nemmeno con i famigliari, ma nel mio caso devo dire che la sanità e i servizi sociali sono stati encomiabili, eccellenti. E’ vero che la malattia spegne il senso del tempo e dello spazio, ma la persona rimane sempre una persona. Anche se sempre più in balìa degli eventi. Il care giver, (in questo caso mamma e moglie Daria) è comunque quello che soffre di più perché sono quelli che si rendono conto di quel che succede, di come le persone cambino giorno per giorno. Il care giver letteralmente la persona che guida la cura è la figura perno attorno alla quale ruota tutto il peso perché come dicono gli psicologi rivivono quotidianamente un lutto, il lutto della perdita della persona che era il paziente ma non la perdita fisica. Questo tipo di lutto è il più difficile da superare. Convivere con l’assistenza al malato vivendo nel ricordo della persona che era e che non è più. Da qui una frase “se l’Alzheimer è il crepuscolo della memoria l’oblio di chi no sa più di esistere nelle cose, nei giorni, nello sguardo dei propri cari allora esserne il care giver è una prova incredibile e forse proprio per questo rappresenta la sfida per l’eccellenza, la più grande dimostrazione d’amore possibile”.

Ed è anche per questo che l’assistenza è fondamentale, per sgravare i familiari da un carico fisico ed emotivo pesante che aumenta con il procedere del tempo. “Io seguo mio papà la sera, quando torno da lavoro e nei weekend ma la Daria è veramente stoica eroica nella quotidianità. Quando ancora la malattia non lo aveva colpito, era abituato a camminare parecchio. Anche adesso fa la stessa cosa. Mi aspetta, sento che mi riconosce e quando arrivo a casa mi dice andiamo. Pronti via, camminare per non dimenticare … anche perché nei week end possiamo arrivare a percorrere 25 km. Mi segue, a volte penso che ricordi i passaggi. Non molto tempo fa ho provato a lasciarlo andare avanti. Eravamo in golena, lui ha preso la giusta strada per uscirne”.

Sono piccole cose, ma sono quelle che restano. Gian Matteo ha vissuto giorno per giorno, e sulla sua pelle il procedere della malattia. Vive ancora in casa dei suoi ed ha deciso così. Il fratello, sposato e padre di due figli, non vivendo qui c’è quando può: “Forse per quello lui è riuscito ad accettare di più la malattia. Lui è più lucido quando lo guarda e si rende conto che quello che vede, con la testa, non è più suo padre. Ma vivere giorno per giorno accanto ad una persona malata é un po’ più complesso. Io lo vedo con mia mamma. Quando sono soli in casa si mettono davanti alla televisione. Lei gli parla, cerca di interagire con lui magari parlandogli di quel che stanno vedendo insieme, così come faceva un tempo. Lui guarda e basta. E’ difficile da accettare che la persona che hai al tuo fianco non è più quella di prima. Spesso e volentieri le malattie neurodegenerative colpiscono gli anziani, e quando sono soli la cosa è difficilmente gestibile. Dove hai familiari che riescono a compensare hai la fortuna di viverla in maniera diversa. Ma io penso sempre a chi non ha avuto la fortuna di mio padre e a chi non ce l’ha. Se penso solo a quante carte ho compilato, quanti medici ho girato e in quanti uffici sono stato credo che per un anziano, che magari nello stesso tempo deve gestire il familiare malato, questo sia difficile, se non impossibile. Un malato come mio padre può essere gestito in casa, almeno sino a che ce ne è la forza e la demenza è moderata. In Italia, come dicevo prima, siamo fortunati ad avere leggi che aiutano nella gestione dei malati. Certo, servirebbero più strutture, strutture magari per l’assistenza diurna dei malati cognitivi. Serve davvero sensibilizzare di più la gente. Tanto per fare un esempio, quando si parla di malattie neurodegenerative e cognitive, si parla sempre di Alzheimer. Ma non esiste solo quello, ci sono differenze importanti”.

Non c’è solo l’Alzheimer, anche se la maggior parte della gente conosce solo quello. E’ la dottoressa Cristina Magni, psicoterapeuta, che spiega: “La malattia di Alzheimer rientra tra le forme di demenza più diffuse e comporta una degenerazione cognitiva cronica, altamente invalidante. Sin dagli inizi caratteristica peculiare è la perdita di memoria, soprattutto dalla difficoltà a ricordare eventi recenti. Successivamente il quadro clinico si complica andando ad intaccare altre aree del funzionamento psicologico con afasie, disorientamento, abbassamento del tono dell’umore, la cosiddetta depressione, incapacità di prendersi dura di sé, alterazioni comportamentali. La valutazione iniziale comporta una indagine approfondita a causa della presenza di sintomi comuni ad altre forme di demenza, come la demenza frontotemporale (DFT)”.

La demenza frontotemporale è la malattia di Angelo. “In questo tipo di demenza – prosegue la psicoterapeuta – vi è un graduale e progressivo declino nel comportamento. Si registrano apatia, irritabilità, comportamenti ossessivi, tendenza a mangiare in eccesso con alterazioni della personalità e dell’emotività. Si va dalla depressione all’euforia, si registrano reazioni inappropriate in situazioni sociali, impulsività, disinibizione, e nel linguaggio, con alterazioni della comprensione o della produzione verbale. Si può rilevare anche una compromissione delle funzioni cognitive complesse come la pianificazione, l’organizzazione o il ragionamento. Questo tipo di demenza viene definita ad esordio insidioso perché i sintomi iniziali posso essere poco significativi. Molte persone con questa malattia mancano totalmente di consapevolezza sin dall’esordio della malattia, quindi non riconoscono i cambiamenti che stanno loro avvenendo né l’inappropriatezza dei loro comportamenti. E’ possibile quindi immaginare l’impatto che tutto ciò può avere nella relazione con gli altri componenti della famiglia. Come nella malattia di Alzheimer si presentano difficoltà nel funzionamento della memoria: mentre nel primo caso si rileva una effettiva perdita di memoria, la persona con demenza frontotemporale come Angelo presentano anch’esse delle difficoltà nel “trovare la parola giusta” o difficoltà di riconoscimento di visi e oggetti, ma la difficoltà non è tanto nel ricordare o riconoscere le persone, piuttosto nel recuperare il nome corretto per oggetti o persone, ovvero legato ad un disturbo del linguaggio. Un’approfondita valutazione neuropsicologica e l’utilizzo di specifiche modalità comunicative può essere utile nel discriminare l’origine mnesica o linguistica alla base della difficoltà. La sintomatologia si presenta complessa anche rispetto all’alterazione nel tono dell’umore, perché, caratterizza entrambe i quadri clinici; soprattutto inizialmente si riscontra apatia, perdita di motivazione, disinteresse nei confronti delle attività familiari, amicali e sociali e questo può inizialmente indirizzare la diagnosi verso un disturbo depressivo. E’ evidente come possa essere complessa la fase di valutazione e diagnosi, che richiede tempo per indirizzare la diagnosi in modo corretto, al fine di pianificare gli interventi più funzionali alla persona. Un tempo che di nuovo mette alla prova i caregiver che devono affrontare l’impatto psicologico di prendersi cura di una persona che nel tempo si trasforma nella relazione umana, e perde delle sue caratteristiche individuali, progressivamente sempre più”.

Gian Matteo ha deciso di fare qualcosa in più per sensibilizzare. Il 10 ottobre giornata internazionale del cammino insieme a due, tre amici partirà per una camminata da Fidenza a Fornovo. 34 Km. Negli ultimi, accompagnato dal fratello, ci sarà anche suo padre. Un tratto della via Francigena, affrontato come un pellegrino. “E’ una cosa che sento di dover fare, per me e per gli altri familiari, per i malati. Se qualcuno vorrà aggiungersi valuterò, ma non ne faccio una questione di partecipazione. L’importante è fare, mettere in luce che i malati ci sono e noi familiari ci siamo. A me interessa questo. Lo faccio anche per gli operatori come Lorena Bergamaschi dell’Asl, Chiara Sanfelici dei servizi sociali, lo staff del Fatebenefratelli di Brescia: la Dottoressa Anna Tarallo, la Dottoressa Cristina Festari, il Dottor Lorenzo Pini che quotidianamente andando ben oltre i loro doveri ed impegni lavorativi ce la mettono proprio tutta in mezzo alle mille difficoltà per fare avere ai malati e ai propri cari una buona qualità della vita.

Passo dopo passo, la sensibilizzazione è importante. “Non tanto per i malati, o non solo per loro – aggiunge Gian Matteo – quanto per chi sta attorno ai malati. Mio padre era uno di quelli che avevano tanti amici e tanti interessi. Ora è rimasto solo, con i suoi familiari e a soffrirne non è lui, che non è più in grado di comprendere la solitudine, ma chi vive con lui, che se ne rende conto. E’ questa la cosa che mi fa più male: non è la malattia, tutti ci si può ammalare e spesso non dipende da noi, ma il rendermi conto che la malattia isola soprattutto il familiare, che resta solo”.

Sforzo dopo sforzo, con lo stesso amore di un tempo è stata la consapevolezza che, dal 2012 in poi, ha lastricato la strada. Quella strada che il 10 ottobre affronterà, in compagnia di pochi amici e dei propri pensieri. Con infinito coraggio. Perché poi, a voler vedere in fondo come lui sa fare, qualche piccolo segno d’ottimismo c’è a cui aggrapparsi: “Porto mio padre a vedere la partita allo stadio e lì, tra i tifosi nel settore dove mi metto io ormai lo conoscono tutti. Ci andavamo quando ancora la malattia non lo aveva colpito e continuo a portarlo anche adesso. Lui è sempre stato un profondo appassionato di calcio. Durante una partita non è stato bene. Sono arrivati i soccorsi e lo hanno assistito nell’infermeria all’interno dello stadio. Prima della fine della gara si è ripreso, ed è tornato con me sulle gradinate. E’ stato accolto dall’applauso dei tifosi, che si sono preoccupati per lui ed hanno gioito nel vederlo tornare. Ormai lo conoscono, sanno com’è e a modo loro gli sono vicini. Ecco, sono queste le cose che ancora mi fanno sperare”.

Passo dopo passo, in fondo, si può ancora pensare di guardare lontano.

 

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