Cronaca

Punto nascita, la fine: reazioni e voci dal territorio. La sconfitta di tutti

"La regione non ha ritenuto di chiedere la deroga" sottolinea Pierluigi Pasotto, entrando nelle responsabilità specifiche di chi ha voluto tutto questo. Nella sentenza, in uno dei commi si legge questo

CASALMAGGIORE – “E’ finita. Lette le motivazioni”. Poche parole dopo la sentenza avversa al Punto Nascita dell’Oglio Po. Sono quelle di Annamaria Piccinelli che da anni, col Comitato a difesa del presidio ospedaliero si batte affinché non vengano ridotti i servizi, affinché il personale venga reintegrato e l’Oglio Po abbia e continui ad avere una sua dignità.

Non ce l’ha fatta – e non per demeriti – in questa ultima titanica impresa. E insieme a lei non ce l’hanno fatta le mamme che da mesi si battono anche loro per non perdere quel punto dove hanno messo al mondo i propri figli. La vita. Quella tenuta in scarsa considerazione, visti i rischi legati alla strada da percorrere sino a Cremona, quella che si è deciso di far venire al mondo altrove nella malsana considerazione che, laddove più si nasce siano minori i rischi. I rischi minori sono dove viene garantita la massima sicurezza, dove ci sono professionisti seri, dove non il parametro numerico, ma quello legato alle valutazioni, alle procedure, alla sicurezza è massimo. Tutto quel che aveva il Punto nascita Oglio Po. Tutto quello che è stato cancellato ieri, con ogni probabilità, e questa volta per sempre.

“La regione non ha ritenuto di chiedere la deroga” sottolinea Pierluigi Pasotto, entrando nelle responsabilità specifiche di chi ha voluto tutto questo. Nella sentenza, in uno dei commi si legge proprio questo: “L’impulso deve venire dalla regione che nel caso di specie ha ritenuto di non insistere nella richiesta di deroga”. Di chi ha compiuto una scelta appellandosi alla possibilità fornita dall’accordo Stato Regioni del 2010 e dal decreto Lorenzin del 2015. 380 parti, a fronte dei 500 richiesti. Con un dato (emerso anche questo dalla sentenza) che è comunque importante non dimenticare: il 53,8% delle mamme residenti nel Mantovano e il 42,2% di quelle residenti nel cremonese partorisce altrove. 800 parti potenziali nell’area Oglio Po. In fondo sarebbe bastato poco per intercettarne un altro centinaio, o poco più. E in questo subentra un disinteresse dell’ASST di Cremona a puntare su quello che è parte dell’azienda ma più spesso sembra essere quasi un corpo a se stante. Dell’accordo di qualche anno fa per il rilancio del Punto Nascita poco o nulla è stato portato a compimento. Era un piano – suggerito sempre dal Comitato a difesa dell’Oglio Po – davvero ben fatto, avrebbe potuto ridare linfa anche dal punto di vista numerico una maggiore connessione con i medici di base, il rilancio e l’ammodernamento dei consultori familiari, una campagna informativa seria e strutturata. Avrebbe potuto bastare anche adesso, a fronte di una deroga richiesta, e con l’impegno di tutti, per arrivare a quella soglia. Nessuno a partire dall’ASST e come sottolineato dallo stesso Comitato qualche tempo fa, lo ha mai tenuto in seria considerazione.

Ha prevalso un sistema, quello lombardo e quello nazionale, che sempre più spesso guarda al privato, che non tiene neppure conto che il tasso di natalità è sceso in Italia in maniera considerevole dal 2010. Un sistema che concentra i servizi, e a volte quelli essenziali come in questo caso, in un’unica struttura. E poco importa che disti 40 km dai territori di riferimento. Ha prevalso un sistema che guarda più al lato economico che a quello delle necessità.

“Oggi il T.a.r. – scrive Aldo Vincenzi, sindaco di Sabbioneta – ha respinto la sospensiva cautelare relativa al punto nascite dell’Oglio Po, proposta da diversi amministratori locali; quindi ha ribadito, per ora, il no alla riapertura. Quando uno decide di provare a fare l’amministratore locale (se è in buona fede e senza particolari ambizioni), lo fa per provare a incidere materialmente nella propria realtà, per poter, dal suo punto di vista, migliorare le cose, per tentare, tra limiti e difficoltà, di risolvere problemi; a volte ci riesce, a volte meno; a volte si hanno momenti di euforia, quando un progetto va a buon fine, a volte di frustrazione, quando non si è in grado di fare la cosa che sarebbe migliore, per ristrettezze economiche o normative; è raro però provare un senso di impotenza. Oggi, o meglio, da un po’ di tempo, io provo un senso di impotenza; non sulle azioni che posso intraprendere sul mio comune, ma sul modo in cui le Istituzioni “alte” trattano il mio territorio. Si possono fare incontri, tavoli, riunioni fiume, delegazioni, ricorsi… ma per le istituzioni siamo periferia dell’impero; le grida di allarme degli amministratori, dei comitati,dei cittadini, che denunciano un territorio sempre più povero, da un punto di vista infrastrutturale e di servizi, vengono ignorate o ascoltate con fastidio, come una litania che annoia. Nostro compito è continuare, nonostante tutto e tutti, con ostinazione, a fare sentire la voce del territorio, martellare su quello che non va, chiedere investimenti, sollevare problemi e suggerire anche soluzioni; l’impressione sconfortante, però, è che questo pezzo di Lombardia sia troppo lontano sia da Roma che da Milano. Spero di essere smentito; davvero ci spero, prima come cittadino e poi come Sindaco”.

Parole forti le sue. Le parole di chi amministra i confini dell’impero, il territorio ai margini. Una terra dimenticata ed ancora una volta offesa: a Milano – come a Roma, non cambiano le cose – si è deciso di non ascoltare nessuno, di non tenere conto delle istanze territoriali. Si è deciso di calare un modello (quello della compensazione, come se ad un servizio essenziale fosse possibile ‘sostituire’ qualcosa di ugualmente significativo) dall’alto senza chiedere nulla, stabilendolo a tavolino senza interpellare nessuno. Ci hanno tolto la casa, dandoci in cambio una tenda ed un paio di ombrelloni piazzati qua e là.

C’è sconforto e rabbia tra le mamme e tra il personale. “Sentenza asettica, formale, cavillosa – scrive Lorenzo riferendosi al TAR – colma di normative che richiamano e rinviano una all’altra (machiavelli è un dilettante al confronto), sterili statistiche che non tengono in conto del fattore umano e la particolare utilità sociale “locale e non” che, non viene seriamente presa in considerazione come primo elemento di giudizio”.

“Senza parole – aggiunge Elena – speravo in un minino di umanità e intelligenza almeno in loro ma a quanto pare il potere decisionale è in mano a gente poco umana. Speriamo solo che, a causa di una loro scelta, non succeda mai nulla a mamma e bambini”

“Il nostro ospedale che e’ diventato loro – sottolinea Marilena – i nostri soldi che sono diventati loro mi vergogno di essere lombarda con l’eccellenza sulla sanità’ ma dovremmo ancora lottare mai mollare almeno continueremo a denunciare che ci hanno privato di un bene nostro pagato da noi”.

“Ecco a voi l’Italia – aggiunge Ettore – uno schifo! Siete scandalosi, fate pena davvero… bisogna sperare che non muoia qualche bimbo per colpa vostra solo perché avete voluto chiudere un reparto da favola per tutte le mamme e i neonati e aggiungo anche per i papà”.

“Rabbia, amarezza, delusione profonda. Casalmaggiore – appunta Eleonora – considerata inutile come la carta igienica bagnata, l’ultima ruota del carro. Grazie. Che Dio la mandi buona alle future mamme del comprensorio ogliopo”.

Si potrebbe andare avanti a lungo, ma non cambierebbe le sorti del Punto Nascita. Anche se non c’è ancora una definitiva sentenza, le motivazioni del respingimento della richiesta di sospensiva inducono al pessimismo. Con ogni probabilità le stesse motivazioni serviranno ai giudici per la sentenza avversa.

“Non sono in grado di dire con esattezza il momento in cui ho capito di voler essere ostetrica – scrive Anna Stella Vicini, ostetrica da una vita di quel reparto che non c’è più – ufficialmente la mia scelta si è concretizzata 38 anni fa, ma molto probabilmente penso di essere nata con questa vocazione forse perché, nel mio album genealogico, mi hanno preceduto altre sei ostetriche. Cos’è per me essere ostetrica? È passione. Non è stato facile e non lo è tuttora, occorre avere molta tenacia, pazienza, forza di volontà, sensibilità e grande empatia. Ho voluto essere ostetrica non solo per far nascere i bambini, ho voluto e voglio essere ostetrica per sostenere la donna nel momento in cui si accinge a compiere il miracolo della vita; per aiutarla con la mia professionalità a superare gli ostacoli ed essere una spalla d’appoggio. La nascita di un figlio coinvolge vari aspetti: la sfera corporea, emotiva, relazionale, parentale… ognuno di questi aspetti richiedere di un supporto e un accoglienza specifica. Ecco, io sono stata e vorrei continuare ad essere qui per questo, per accompagnarvi nel viaggio più emozionale che proverete. Oggi una legge assurda e dei cuori aridi mi hanno tolto la mia identità, ma non mi toglieranno mai il ricordo delle emozioni provate in sala parto. Come dice una canzone di Jovanotti: “ho la faccia piena di schiaffi, le tasche piene di sassi e il cuore pieno di te“. Sì, il mio cuore sarà sempre pieno di voi, mamme e papà e del primo respiro dei vostri bambini”.

Si chiude così con i titoli di coda, una vicenda dolorosa e difficile per tutto il territorio. Hanno vinto i supermanager, ha vinto la politica da camera, ha vinto il disinteresse diffuso verso questo ospedale. Ha prevalso un modello di sanità lombarda che guarda all’Europa ed oltre e perde di vista le specificità delle realtà locali, un modello di razionalizzazione che è sembrato ancora una volta incapace di confrontarsi con i territori, capirne le istanze, farsene carico. Oggi si è scritta – e forse per sempre – una delle pagine più tristi dell’Oglio Po inteso come territorio ed ospedale. La considerazione è stata nulla, non si è ascoltata nessuna delle voci locali, si è calato un modello dall’alto che nessuno ha scelto, se non chi è in regione, grazie ad una normativa nazionale che ha consentito tutto questo. 

Resta a futura memoria l’esempio ed il coraggio di chi ha combattuto. Di chi lo fa da anni come il comitato a difesa dell’Oglio Po. Resta l’amarezza per questa decisione, l’amarezza di tutte le mamme. Abbiamo per mesi riportato i loro splendidi racconti, abbiamo raccolto tanti sorrisi e tanta speranza. E abbiamo sperato anche noi con loro.

Ma il grazie più grande di tutto il territorio dovrebbe andare a chi in quel punto nascita ci ha lavorato: si disperde un patrimonio inestimabile di valide professioniste, di medici e personale medico capace.

Perdiamo soprattutto un altro pezzo della nostra identità, della nostra storia. Non siamo né a milano ne a varese, contiamo poco anzi, per questa regione non contiamo affatto. Si è scritta una delle pagine più tristi, della storia di questa terra. Una terra disgregata, senza rappresentanza e rappresentanti, in balìa degli eventi e della politica lontana. Anzi, lontanissima: anni luce da milano, anni luce da roma.

Nazzareno Condina

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