Cronaca

Marco Polo a pedali è passato da Torre: la favola lunga 20mila km di Louis Cornelli

Vietnam, Cambogia, Thailandia, Laos, Cina, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan, Kazakistan, Mar Caspio, Azerbaigian, Georgia, Turchia, Grecia, Macedonia, Albania, Montenegro, Bosnia, Croazia, Ungheria, Slovenia e ora Italia. FOTOGALLERY

Nella foto Louis con gli zii e i parenti di Torre dè Picenardi, dove ha sostato cinque giorni

TORRE DE’ PICENARDI – Marco Polo a pedali ha un fisico asciutto sviluppato su oltre 1 metro e 80 di altezza, un paio di occhiali per catturare meglio il mondo, un nome francese, un cognome italiano, la nazionalità svizzera e un’apertura mentale che le 4-5 lingue parlate fluentemente testimoniano senza bisogno di ulteriori prove. Un melting pot figlio di una famiglia e un albero genealogico, che soltanto negli ultimi 30-40 anni ha incrociato nazionalità ed etnie. Imparato il russo, Louis Cornelli, 40 anni compiuti a dicembre 2017, ha sentito l’esigenza di studiare il cinese, come se spagnolo, francese e italiano parlati senza problemi non fossero più sufficienti. “E così sono andato a Taiwan a studiare la lingua e, dato che la bicicletta mi appassiona da tempo, negli ultimi due anni mi ero regalato un mese in Laos e un mese in Cina sulle due ruote”.

Louis vive a Neuchatel, sulle sponde dell’omonimo lago svizzero, ma per la sua avventura iniziata dieci mesi fa è partito dal Vietnam, raggiunto in aereo, e da Ho Chi Minh in particolare. A dire il vero tuttavia la sua storia parte da qui, dalla nostra campagna, diversi anni fa. “Perché mio padre che è cresciuto a Torre dè Picenardi mi portava qui spesso, praticamente ogni anno anche dopo il trasferimento in Svizzera e così pure io ho iniziato a prendere questa abitudine. Andare in bicicletta mi è sempre piaciuto e quando ero giovane, nel primo pomeriggio, anche col caldo, inforcavo le due ruote e partivo. Una trentina di anni fa le ciclabili erano messe ancora peggio di adesso, ma la passione mi spingeva a scoprire le distese del Casalasco e della campagna Cremonese”.

Proprio a Torre dè Picenardi, a casa Cornelli, incontriamo Louis in una pausa (cinque giorni circa) del suo pellegrinaggio lungo quasi un anno. Il salto temporale è brusco ma doveroso. E così torniamo a Ho Chi Minh, al 30 dicembre 2017, l’alba di un nuovo anno e di un’avventura da tramandare ai posteri. “Quando ho compiuto i 40 anni mi sono fatto un regalo: praticamente ho deciso di intraprendere un giro del mondo, o quasi, in bicicletta. 20mila chilometri sulle due ruote partendo dal Sud-Est asiatico e tornando a casa, in Svizzera. Tutto questo con rari passaggi sul traghetto o sul treno, laddove non vi fossero strade praticabili. Ma si tratta di rare eccezioni, perché in diverse occasioni mi è toccato pure pedalare su pietre o dove i tracciati si potevano solo immaginare. Ricordo il Vietnam e la Cambogia, con strade frequentatissime dove però ad un cenno della mano tutti si fermavano e ti lasciavano passare, quando era il tuo turno: era una sorta di disciplina nell’apparente disordine, quasi un’autoregolamentazione, o autogestione del traffico, molto efficace”.

Vietnam, Cambogia, Thailandia, Laos, Cina, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan, Kazakistan, Mar Caspio, Azerbaigian, Georgia, Turchia, Grecia, Macedonia, Albania, Montenegro, Bosnia, Croazia, Ungheria, Slovenia e ora Italia. Un’autentica lezione di geografia. E un book fotografico degno di un reportage del Touring. Prossimo passo, la Svizzera e Neuchatel, anzi Berna, per andare a trovare la sorella. “Mi mancano mille chilometri, ce l’ho quasi fatta: spero solo che i passi alpini non siano chiusi, ma visto il clima mite credo di poter scongiurare questo rischio. Nel caso peggiore, prenderò il treno. Direi che un piccolo passaggio, tutto sommato, me lo merito”.

Cosa ti ha spinto a questa “follia”? “Banalmente la curiosità di conoscere il mondo. E l’Oriente mi ha sempre affascinato: viverlo a Taiwan non mi ha saziato, anzi ha alimentato la mia sete di sapere. Diciamo che tutto è andato molto bene, anche oltre le più rosee aspettative: il meteo è stato amico per lunghi tratti di percorso e ho scoperto un mondo ospitale. Avevo previsto di chiudere i miei 20mila km in un anno, probabilmente impiegherò almeno un mese in meno, non è poco. Ho fatto anche qualche cambio di rotta, ma in linea di massima ho seguito le tappe che mi ero prefissato. Mi sono portato dietro una tenda, un paio di zaini, qualche ruota di scorta, un po’ di denaro e una carta di credito per le spese. Il resto è venuto da sé. Poche zone di quelle che ho visitato erano sprovviste di servizi, solo in un punto ho davvero sofferto, ossia in Uzbekistan, dove il passaggio in mezzo al deserto era umanamente impossibile: partivo alle 5.30 del mattino, ma già alle 11 c’erano 50° C. A quel punto mi sono fatto dare un piccolo passaggio con treni o altri mezzi, a volte di fortuna, anche se in quella settimana qualche chilometro me lo sono comunque fatto, all’alba e prima dell’arrivo del gran caldo. In compenso, in Kirghizistan sono stato ospitato da famiglie molto povere, alle quali io volevo pagare almeno il disturbo. Una piccola mancia, niente di più e niente di umiliante: ma nei loro occhi ho visto umanità e spirito disinteressato. Non hanno voluto nulla, nemmeno quando ho provato a insistere. Non c’è stato nulla da fare. E’ un episodio che mi ha colpito e segnato”.

Altri maratoneti del pedale hanno convenuto sul fatto che le strade peggiori per i ciclisti siano in Italia. Sei d’accordo? “Forse facendo il confronto con l’Europa è così. Ma voi prendete le lande immense ad Oriente, dove spesso tocca pedalare per chilometri ai 10 all’ora sopra pietre e sentieri sconnessi o strade che nemmeno esistono. Ecco, provate a immaginare”. Già, immaginare ciò che il Marco Polo a pedali ha respirato con gli occhi e col cuore. E anche la strada più sgangherata non sembra poi così male…

Giovanni Gardani

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