"Inutile tentare di contenere i cinghiali: in arrivo cervi, lontre e scoiattoli": parola di esperto
Contesta dunque chi li definisce autoctoni? "Non è questione di opinioni ma di dati. Le nutrie sono alloctone ma i cinghiali no. Dovremmo piuttosto capire perché siano tornati qui da pochi anni, a differenza del capriolo".
La notizia da noi riportata sabato scorso del cane ucciso dai cinghiali ha scatenato commenti sul web. Come era logico attendersi, molti si sono concentrati sulla figura del padrone del cane, che è un cacciatore, ma in realtà quanto a lui accaduto avrebbe potuto succedere a qualsiasi cittadino a passeggio col suo cane.
Che fare? Attrezzarsi per pianificare seriamente il contenimento di questa specie o adeguarsi alla sua presenza?
Abbiamo sentito stavolta il parere di chi propende per la seconda ipotesi. Si tratta di Sergio Mantovani, giornalista cremonese, ricercatore ambientale e naturalistico e autore del volume “Natura cremonese”, saggio riguardante gli aspetti naturalistici della provincia di Cremona. Partiamo dal timore più diffuso: il cinghiale rappresenta davvero un pericolo per l’uomo? «Non possiamo escluderlo a priori, ma la statistica ci aiuta. Se consideriamo che in Italia ci sono almeno un milione di capi, alcuni dei quali urbanizzati, e che di attacchi diretti se ne contano in numero infinitesimale, si comprende che la pericolosità è bassa. L’unico margine di rischio è rappresentato dalla presenza di una madre coi piccoli, ma spesso l’aggressività delle femmine si limita ad un attacco dimostrativo non portato a conclusione. Ricordiamo che si tratta di animali che hanno un forte timore dell’uomo. Potrebbero diventare pericolosi gli animali eventualmente colpiti da una fucilata, che diventano pericolosi per difendersi: una situazione che è capitata soprattutto sull’Appennino».
Discorso diverso per i cani. «Certo, poiché il cinghiale lo teme molto di più. Il cane da caccia in particolare è un animale curioso, soprattutto se sente una pista o una traccia, e quando incontra altri animali tende a mettersi nei guai. Ha un’indole aggressiva verso il selvatico, di cui spesso non valuta la pericolosità. Se poi il cinghiale è maschio quindi con zanne affilate, o anche se si trattasse di un’istrice abile nel difendersi, per lui può finire male. Nel caso poi i cani siano in gruppo aumenta l’aggressività dell’animale attaccato. Un mio amico in golena ha trattenuto a stento il suo pastore tedesco quando ha visto un nutrito branco di cinghiali, ha avuto paura per il cane che si è messo ad abbaiare mentre i cinghiali erano spaventati. Io stesso un paio di anni fa sono passato a fianco di un branco di 15 cinghiali, ma sono rimasto tranquillo e silenzioso e loro non hanno reagito: importante è non avvicinarsi ai piccoli e restare fermi o indietreggiare lentamente. Da frequentatore della golena più che i cinghiali tempo il pericolo potenziale degli spari ai cinghiali: armi e munizioni per abbatterli sono molto potenti, a lunga gittata, ma la golena è frequentata anche da persone a piedi o in bicicletta. Trovo insomma più pericoloso per l’incolumità delle persone lo sparo ai cinghiali che questi ultimi. Del resto, si vada a vedere ogni anno quanti incidenti si verificano durante questo tipo di caccia e quanti invece per attacchi dei cinghiali all’uomo».
Sulla strada i cinghiali dopo il tramonto e prima dell’alba sono un problema serio, come dimostrano i tanti incidenti d’auto. «Questo è vero, anche se in altre province il pericolo è ancora maggiore, e quindi dovremmo eliminare tutti i cinghiali? Servirebbe che le autorità posizionassero cartelli stradali per avvertire del pericolo». Pensa davvero che bastino? «Certo che non bastano, ma sarebbe utile invitare alla prudenza su certe strade, non sono molte e tutte nel Basso Casalasco. Metterebbero quantomeno sul chi va là gli automobilisti». Dovrebbe diventare una sorta di Camargue, dove i limiti ovunque sono molto bassi. «Certo. Sono animali che mancano da secoli e non ci siamo più abituati». Contesta dunque chi li definisce autoctoni. «Non è questione di opinioni ma di dati. Le nutrie sono alloctone ma i cinghiali no. Dovremmo piuttosto capire perché siano tornati qui da pochi anni, a differenza del capriolo che è arrivato prima per l’esplosione della popolazione appenninica. Cosa che non vale per il cinghiale. Io credo che il loro spostamento sia dovuto all’aumento nell’Appennino del numero di lupi, che hanno i cinghiali come preda prediletta».
Lupi che sono già stati avvistati pure da noi. Quindi? «Non è facile che branchi di lupi si fermino nel nostro territorio, in ogni caso non saranno loro a fare sparire i cinghiali». Dunque lei è contrario all’abbattimento? «Personalmente sì, ma posso capire chi è favorevole: non sono un animalista sfegatato, ma un naturalista. Sono specie che localmente possono creare danni». Ad esempio alle colture. «Certo, anche se sono situazioni molto localizzate in alcune aree della golena. Lì un controllo locale ci può stare nella forma attuale, dall’altana. Sarei contrario alla caccia braccata per l’impatto sull’ambiente: lasciamola all’Appennino, qui sarebbe sproporzionata. In ogni caso dobbiamo considerare che se ci sono i presupposti perché arrivino da noi, farli sparire è pura utopia. Ma il numero resta limitato, poiché non trovano qui un ambiente ideale su vasta scala. In tutta la provincia ci saranno un centinaio di capi».
Che pensa invece del contenimento della nutria? «I dati parlano chiaro: il piano di controllo è un fallimento totale. Sono ancora ovunque, anzi: gli abbattimenti aumentano di anno in anno, il che dimostra l’inefficacia del piano. In Inghilterra sono scomparse, nel 1986, ma per una combinazione di tre fattori: l’inverno rigido e nevoso, il numero comunque ridotto rispetto a noi, e l’ottima organizzazione degli inglesi che con ostinazione e abilità hanno fatto l’ultima parte del lavoro eliminando i superstiti. Concomitanza impensabile per noi».
Quali nuove specie ci dobbiamo attendere in futuro? «Dobbiamo vedere quanto avviene nel nord est, che spesso anticipa i fenomeni. Ad esempio gli sciacalli: io stesso ne ho avvistato uno nel Cremonese. E’ verosimile che, se non ammazzano i pochi capi odierni magari in battute di caccia alla volpe, possano arrivare qui. Un altro animale già avvistato è il cervo, in espansione sull’Appennino e che pure manca nella nostra pianura dal Medio Evo. Poi purtroppo (poiché specie esotica) nel nord della nostra provincia è in arrivo lo scoiattolo grigio, già presente nel Bergamasco, Lodigiano e Milanese: un animaletto simpatico che dovrebbe restarsene in Nord America. Infine, potrebbe ricomparire anche la lontra, anche lei specie autoctona e in decisa espansione nel nord est e anche in Valtellina. Questo sarebbe un ottimo segnale in quanto la lontra è un bioindicatore molto positivo. D’altro canto questi arrivi confermano come lo stato dei nostri fiumi sia migliorato».
V.R.