Ponte Po, un mese in più che se ne va. Treni, due corse cancellate: non c'è fine al peggio
"Ci stanno prendendo per il culo" chiosa in bello stile il consigliere Orlando Ferroni. "E ci hanno preso per il culo dall'inizio. La pratica per dichiarare lo stato di emergenza si è arenata"
CASALMAGGIORE – C’è chi la prende con filosofia, chi usa il ponte per passeggiare o fare filos. Poi c’è chi ancora lo utilizza per andare a lavoro. Perché poi la realtà è questa. Quasi 8 mesi di sofferenza per chi lavora appena al di là (o al di qua) del fiume, 8 mesi di sacrificio, di spese raddoppiate, di soluzioni che slittano ancor prima di vedere la luce.
Va così in questa terra di confine: si sparano tempi tecnici già nella ‘quasi’ consapevolezza che verranno disattesi. Il 6 marzo scorso, a Colorno, si era parlato del maggio 2019 per la riapertura del ponte incerottato. Un tempo che, con ogni probabilità, verrà disatteso perché ancora si è alla fase di conferenza di servizio, la stessa che avrebbe dovuto trovare soluzione (da quanto detto a Colorno) il 20 marzo. Furono chiesti degli approfondimenti in materia antisismica in quel frangente, e tutto slittò. E siamo già al 20 aprile.
Troppi silenzi, troppi intoppi, troppa burocrazia, troppe regole, troppo nulla. “Ci stanno prendendo per il culo” chiosa in bello stile il consigliere Orlando Ferroni. “E ci hanno preso per il culo dall’inizio. La pratica per dichiarare lo stato di emergenza si è arenata in Regione ancor prima di arrivare a Roma, ed ora è forse ormai troppo tardi per richiederla. Qui nessuno si rende davvero conto che siamo in piena emergenza, che questa è una situazione disastrosa che stiamo pagando tutti”.
Un mese in più rispetto ai tempi preventivati, ed ancora non è stato neppure indetto il bando di gara. I tempi tecnici per la riapertura di ponte Po (inizialmente previsti per marzo 2019) dovrebbero subire giocoforza uno slittamento. Ammesso (e non concesso poi) che tutto proceda senza ulteriori intoppi, senza ulteriori rallentamenti, o opposizioni in fase di assegnazione del bando, o problemi in fase di cantiere. Sono tante le variabili in gioco perché si possa sperare che tutto vada per il verso giusto. E’ un po’ come indovinare il terno al lotto: ci si può pure riuscire, ma è più facile che non ci si riesca.
Intanto sul ponte si passa, a piedi o in bici, perchè resta la via più breve per giungere dall’altra parte. Da quasi 8 mesi a questa parte, quando i treni lasciano a piedi o per qualunque altro motivo, ci si avventura sull’unica strada che resta per evitare la disperazione. Un disastro insomma, su tutti i fronti se alla viabilità su ruote ci si aggiunge pure quella su ferro.
Ieri giornata di ritardi (è ormai la quasi quotidianità), oggi si registrano anche due mezzi cancellati. Il 20347 (BRESCIA 13:50 – PARMA 15:48) oggi non è stato effettuato. Trenord non dà neppure le ragioni, oltre a dare il solito utile consiglio di prendere il successivo esattamente un’ora dopo. In fondo un’ora, all’interno di una vita, è solo una parentesi aperta e chiusa tra due imprecazioni. “I clienti diretti a Parma possono prendere il treno 20349 (BRESCIA 14:50 – PARMA 16:48)”. Stessa cosa per il treno 20348 (PARMA 16:13 – BRESCIA 18:08) cancellato. Anche qui l’avviso classico “I clienti diretti a BRESCIA possono prendere il treno 20352 (PARMA 17:33 – BRESCIA 19:05). I viaggiatori diretti fino a PIADENA possono prendere il treno 20350 (PARMA 17:04 – MANTOVA 18:39)”.
Non c’è nulla, insomma, per cui stare allegri. “Ci prendono per il culo” ripete il consigliere Ferroni. Questa almeno l’impressione più immediata, non riusciamo a dargli torto. Il disagio resta pesante. Ed è il segno più evidente del fallimento della politica, ad ogni livello.
Nazzareno Condina