2 giorni in balìa del rapinatore vicino di casa: mamma e figlio legati e malmenati. Il racconto
Un incubo durato quasi due giorni, quello vissuto da un figlio e dalla sua anziana madre nella loro abitazione di Piadena. Entrambi, nel 2016, dalle 10 del mattino del 13 luglio fino alle 4 del mattino del 15 erano rimasti in balia del loro vicino di casa, rivelatosi un feroce rapinatore. L’uomo, un 29enne tunisino pluripregiudicato, è a processo davanti al collegio presieduto dal giudice Giuseppe Bersani con a latere i colleghi Francesco Beraglia e Giulia Masci. Difeso dall’avvocato Francesca Ponzoni, è tutt’ora latitante.
Drammatica la testimonianza resa oggi in aula da Alessandro, 50 anni, nato a Cremona, vittima, insieme alla madre, della rapina e di un violento pestaggio da parte del malvivente, che entrambi conoscevano, sia perché abitava vicino a loro, sia perché saltuariamente svolgeva lavori di giardinaggio. “Avevamo fatto amicizia”, ha spiegato Alessandro, che la mattina del 13 luglio aveva invitato il tunisino in casa sua. “Abbiamo parlato del più e del meno, e lui mi ha confidato che voleva tornare in Tunisia e che aveva bisogno di soldi”. Ad un certo punto il 29enne aveva estratto una pistola con la quale aveva minacciato il padrone di casa. “Non mi sono accorto subito che l’arma era finta”, ha raccontato Alessandro. “Mi ha fatto legare una mano ad una corda, mentre l’altra me l’ha legata lui. Poi è andato a prendere mia madre e ha legato anche lei. Abbiamo gridato aiuto, ma non ci ha sentito nessuno. La casa era un po’ isolata e quel giorno il bar era chiuso. E lui, sono sicuro, ne aveva tenuto conto”. Poi il rapinatore aveva appoggiato la pistola e si era armato di due coltelli. Da Alessandro, voleva i soldi. La vittima, sempre legata, era stata costretta a consegnare il denaro che teneva nel portafoglio, poi i soldi, circa 3.000 euro, che lui e la madre tenevano nascosti in soffitta. Ma lui non ne aveva abbastanza. Voleva altro denaro, e con tono minaccioso aveva costretto Alessandro a compilargli due assegni da poco più di tremila euro l’uno. Il rapinatore li aveva lasciati così: legati, prima di uscire per andare in banca a cambiare gli assegni.
Sembrava che l’incubo fosse finito, tanto che Alessandro era riuscito a slegarsi. Ma mentre era intento a liberare la madre, il tunisino era tornato più arrabbiato e più aggressivo. In banca non gli avevano dato i soldi. “Abbiamo avuto una colluttazione”, ha spiegato la vittima. “Io sono caduto a terra rompendomi una costola, poi lui mi ha dato due calci in faccia. A quel punto mi ha legato nuovamente, questa volta con del fil di ferro, mi ha imbavagliato e ha fatto la stessa cosa con mia mamma. Ci ha chiesto se volevamo da bere o da mangiare, e ha accompagnato mia madre in bagno. Dopodichè lei gli ha compilato due assegni da mille euro ciascuno, mentre io gli ho dato il mio bancomat, qualche orologio e alcuni anelli. Lui è andato a farsi una doccia, si è cambiato, è andato fuori a prendersi una bottiglia di birra e alle 4 del mattino ci ha portato in soffitta, intimandomi di non fare il furbo e di non gridare”.
“L’ultima volta che l’ho visto”, ha raccontato Alessandro, “è stato a mezzogiorno del 14 luglio“. Alla sera di quello stesso giorno, visto che il rapinatore non tornava e che la madre dava segni di sofferenza, Alessandro aveva cercato ancora una volta di liberarsi. Quando c’era riuscito, aveva slegato la madre e chiamato i carabinieri. Erano le 4 del mattino del 15 luglio. In casa erano piombati i militari e i medici del 118 che avevano trasportato solo la donna al pronto soccorso. In aula, ancora una volta, Alessandro ha riconosciuto nella foto numero 4 il suo aggressore.
La sentenza per l’imputato sarà pronunciata il prossimo venerdì.
Sara Pizzorni