Cronaca

Jenny, la vita stravolta dal ponte chiuso: "Ho visto gente piangere"

Riusciamo a discutere di sistemi elettorali, di leggi di stabilità e di collegamenti ferroviari con la Cina, non a ridare dignità alle vite di tante persone figlie di questa terra.

Nella foto scattata col cellulare da Jenny, le condizioni della stazione di Colorno. Sempre peggio

BOZZOLO – Nativa di Bozzolo, ma residente a Parma. A Bozzolo conserva l’attività, che gestisce con la sorella. La storia di Jenny è una storia al contrario, quella di chi, pendolare, dal 7 settembre scorso ha avuto la vita stravolta dalla chiusura di un ponte. Perché quella chiusura ha stravolto centinaia, migliaia di vite cambiate – e chissà per quanto tempo – da un giorno all’altro. C’é rabbia, frustrazione, senso di impotenza. Difficili anche da raccontare, e ancor più difficili da far comprendere ad amministratori ad ogni livello. Perché mentre la politica parla, attende e forse spera la gente comune paga sulla propria pelle il disagio e la fatica. “Abito a Parma – racconta Jenny – e con mia sorella ho aperto un negozio a Bozzolo, perché io sono nata lì. Prima del 7 settembre mi muovevo in auto, ed in 40 minuti arrivavo al negozio”. Dal 7 settembre la vita è cambiata: “Quando non sopprimono il treno, ed è successo, parto da San Polo di Torrile alle 8.23 e arrivo a Bozzolo, quando non ci sono ritardi, alle 9.30. Un’ora e dieci minimo di viaggio. Alla sera il percorso inverso, e non sono mai a casa prima delle 20. Sono fuori di casa dalle 8 del mattino alle 8 di sera, ripeto, quando va bene. Senza mai avere la certezza se potrò arrivare a Bozzolo, o tornare a casa”. Una situazione difficile da reggere. “Non ho figli, ma un marito ed una casa che quasi non vedo più perché peraltro se alla sera ritardo o mi sopprimono il treno, devo fermarmi a dormire a Bozzolo, chiedendo ospitalità a qualcuno. Non c’è più una dignità nella mia vita che già è difficile di suo. E intanto, tutti i giorni, spero che qualcosa si muova, che inizino a fare i lavori che poi non iniziano mai. Ho scelto il treno perché i costi da sostenere con la macchina, con i 40 km in più al giorno che mi toccherebbe fare, sono insostenibili. 104 km al giorno. Avessi un negozio a Milano farei meno strada”. In mezzo al disagio, la sensazione di una solitudine evidente. La sensazione di essere stati lasciati soli dalle istituzioni. Soli ad arrangiarsi, nell’africa del nord: “Viaggiando in treno mi rendo conto che è sempre peggio. Le stazioni sono una peggio dell’altra, e lo trovo ingiusto e civilmente scorretto. Attendo, come tanti altri, il treno al freddo. Ho visto gente perdere il treno e piangere in stazione. A questo siamo ridotti”. Sono tante le Jenny che ogni giorno affrontano – da sole – il disagio e la fatica, lo sconforto e la rabbia, lo stress e lo stravolgimento delle proprie vite. Tante Jenny lasciate sole dallo Stato e da tutte le altre istituzioni. E l’anno che si apre, al momento, non promette nulla di buono rispetto a quello che si chiude. Riusciamo a discutere di sistemi elettorali, di leggi di stabilità e di collegamenti ferroviari con la Cina, non a ridare dignità alle vite di tante persone figlie di questa terra. Questa la più grande amarezza che nessuna promessa riuscirà mai ad estinguere.

Nazzareno Condina

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