Come eravamo, dove andavamo: la migrazione italiana raccontata a Drizzona
"Perché una mostra del genere proprio a Drizzona? “Perché, tra fine 1800 e inizio 1900 si assistette a un calo demografico netto - spiega Poli - e la stessa situazione si è ripetuta negli anni ’60: si presume che questa situazione fosse proprio figlia dei fenomeni migratori".
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DRIZZONA – Come eravamo, anzi dove andavamo? E soprattutto, come eravamo trattati? La mostra “Sull’Oceano” in sala consiliare a Drizzona si è conclusa nei giorni scorsi, ma le immagini sono un ricordo imperituro. Perché di ricordi, in fondo, si tratta: quelli che ci legano al nostro passato e all’epopea, spesso anche tragica, dell’emigrazione degli italiani tra metà ‘800 e ‘900 inoltrato.
Un’Italia da poco unita, nei primi casi, dove dunque il passaporto era necessario non solo per grandi viaggi transoceanici come possiamo pensare oggi, ma semplicemente per spostarsi da Voghera a Milano. Un’Italia spaccata dalla questione romana e soprattutto da quella meridionale, che portò alle dimissioni di Giuseppe Garibaldi dal Parlamento e gli italiani dei Sud a non credere più nelle istituzioni, col conseguente dilagare del brigantaggio. Si parte da qui, da questioni molto interne, come ad esempio, nel 1898, la protesta a Milano contro l’aumento delle tasse sul macinato, una scena che possiamo immaginare molto manzoniana, e invece portò alle cannonate di Bava Beccaris.
Poi si prosegue – nella mostra che ci viene illustrata da Mauro Poli, Giulia Volpi, Maria Teresa Parma della Pro Loco di Drizzona e dal sindaco Nicola Ricci – con i grandi viaggi: uno dei primi, stavolta di ritorno, riportò a casa Gaetano Bresci che uccise poi il 29 luglio del 1900 Re Umberto I. Già, ma perché una mostra del genere proprio a Drizzona? “Perché, tra fine 1800 e inizio 1900 si assistette a un calo demografico netto – spiega Poli – e la stessa situazione si è ripetuta negli anni ’60: si presume che tutto questo fosse dovuto ai fenomeni migratori. A conferma del fatto che la grande storia passa sempre da vicende locali”.
La storia prosegue, ed è la nostra storia, quella d’Italia, come abbiamo visto. Il Colonialismo e la Guerra di Libia, i 5 milioni 300mila emigrati che battono bandiera italiana, 2 milioni e mezzo dei quali trasferitisi in America, Francia e Belgio: biglietti che vanno da 150 ai 190 lire, l’equivalente di 100 giorni lavorativi dell’epoca. I porti di Genova, Palermo e Trieste presi di mira da armatori che creano aspettative – non sempre veritiere – di una nuova vita lontano dalla patria. Alcuni passaggi del libro “Cuore” di De Amicis narrano di questo. L’esposizione di Drizzona lo fa mostrando le differenze, a partire dall’abbigliamento, tra prima e terza classe, raccontando, anche in musica, il distacco dalle proprie radici, esaltando illustrazioni dei maestri Achille Beltrame e Walter Molino sulla “Domenica del Corriere” e narrando spesso di condizioni estreme: quelle della tratta dei bianchi, coi genitori costretti a vendere figli per assoluta povertà, delle tragedie di naugrafi e incendi, del cibo spesso trovato tra rifiuti o delle parti meno nobili del maiale scartate dagli americani e lanciate ai “mendicanti” italiani, con testimonianze ad hoc dello status di emigrato raccolte in uno scritto di un gruppo di Belforte.
E ancora la difficile accettazione, l’emblematica vicenda di malagiustizia di Sacco e Vanzetti, giustiziati anche se innocenti, lusinghe, bugie, illusioni, ritorni a casa, da vinti o falliti. Ma anche qualche successo: magari da giardinieri o da maggiordomi, magari da campioni in vari campi. Le scoperte di Fermi, Meucci, Marconi e ancora Carnera e La Motta nel pugilato, Caruso nella musica o Valentino nel cinema. Le nuove tragedie, come quella del 1956 dei Minatori di Marcinelle in Belgio, oltre 130 italiani tra le fiamme, e in generale un percorso per non dimenticare, che ha richiamato 800 persone nella piccola Drizzona, con grande partecipazione anche delle scuole: il modo migliore per tramandare al nostro futuro ciò che è stato.
Giovanni Gardani