Cronaca

A 50 giorni dalla chiusura del ponte Po, sul futuro ancora nessuna certezza

Quel fiume, un tempo cerniera tra due opposte sponde fatte di uguali, ora è confine quasi invalicabile. E il quasi silenzio oscuro presagio. Queste lande, parmensi, cremonesi, mantovane di tempo da perdere non ne hanno più. Questa, al momento, l’unica certezza che resta.

CASALMAGGIORE – Il gigante sta dormendo. In fase terminale, non ha più la forza di reggere il peso dell’età, e della malattia che ne ha minato alla radice l’esistenza. Il tumore, ormai in fase di metastasi diffusa, non prevede fasi di ritorno. Gli si può prolungare di qualche anno la vita, ma resta il fatto che più in là di una decina d’anni, ad essere ottimisti, pur con qualche pezza, non potrà andare. Qualche chemio, gli antidolorofici non basteranno a renderlo agibile, se non per qualche tempo.

“Occorre piena consapevolezza che trattasi di interventi tampone, non risolutivi, con una durata di vita utile inferiore a 10 anni, e che comunque – si legge nella relazione dei tecnici – non possono prescindere da un intervento di monitoraggio continuo, da attuarsi con le più avanzate tecnologie, per valutare nel tempo l’avanzamento del degrado della struttura e prendere opportuni provvedimenti (tra cui anche la chiusura definitiva del ponte). Per tali motivi non si può prescindere dalla realizzazione di un nuovo ponte sul Po, a norma delle leggi vigenti, con un costo molto alto e con tempi di realizzazione non inferiori a 4-5 anni. L’ipotesi percorribile mentre il predetto intervento venga attivato e concluso, tenuto conto degli esiti tecnici appena completati, riguarda l’apertura al traffico a doppio senso di marcia, con la sistemazione di almeno 25 travi, con un costo non inferiore a 5 milioni di euro, con tempi di realizzazione di almeno un anno. La portata del ponte per i transiti merci sarà garantita fino a 20 tonnellate, quindi comprenderà anche gli autobus di linea. Le controindicazioni: il ponte non sarà transitabile per tutta la durata dei lavori. Inoltre l’intervento ha un carattere provvisorio, non risolve l’incognita della evoluzione negativa delle altre travi, in quanto il degrado complessivo del ponte è destinato a continuare”.

C’è ancora chi chiede – non si sa con quanta dose di ingenuità o quanta di speranza – quando verrà riaperto, quando vi si potrà circolare, quando la situazione tornerà ad essere quella di prima in cui a Parma ci si arrivava in mezz’ora e in cui il lavoro, al di là e al di qua del ponte, era solo questione di dieci minuti, un quarto d’ora in macchina sino a Colorno e si aveva il tempo di consumare un caffé nei bar-trattoria sulla strada. La situazione non sarà mai più quella di prima, con questo ponte. Perdonateci il pugno allo stomaco. Ma qualcuno ve lo doveva dare.

Parmense e cremonese sono – al di là dei campanilismi – territori che vivono in simbiosi, parti indissolubili d’una stessa anima. Il casalasco, come il colornese inteso come area e come popolazione, è un’area meticcia, come tutte le aree di confine. Non c’è mai stata una linea di demarcazione netta perché il fiume non è mai stato confine ma cerniera. Oggi siamo ai confini del Messico. In attesa che altri ponti collassino, si deteriorino e vengano chiusi. Viadana non può reggere per tanto tempo 24 mila mezzi al giorno. E se andate sotto quello di San Daniele percepirete la vacuità delle cose terrene. Oggi siamo qui, domani chissà…

50 giorni, senza sapere ancora di che si dovrà morire, senza avere la minima idea di quel che sarà. C’è chi sostiene ci vorrà tempo. E il tempo è proprio quello che manca a un territorio la cui crisi – nel solco di quella economica degli ultimi dieci anni – si sta già facendo sentire. Calano le commesse, aumentano le spese. La più grande azienda del casalasco – l’ospedale Oglio Po – ha già limato di un buon 30% la propria utenza. Già si faceva fatica prima a parlare di potenziamento, adesso sembra una parola priva di un qualsiasi significato.

Il territorio paga anni di tirare a campare, anni di disinteresse sulle infrastrutture, anni persi rincorrendo autostrade, grandi sogni di cui il territorio non aveva alcun bisogno. La ferrovia è rimasta quella degli anni 50, i mezzi che la percorrono hanno solo qualche decennio in più. Nessun raddoppio di binario, nessuna elettrificazione, solo grandi silenzi quando le stazioni hanno iniziato, a poco a poco a morire, a divenire scatole vuote nonostante l’aumento dell’utenza. Ora che il dramma si è compiuto (ed è un dramma che bene o male colpisce tutta l’asta del Po) si cercano soluzioni nell’emergenza, ci si interroga su cosa sarà domani. Domani è già oggi. Qualche provvedimento tampone, il solito caos ferroviario, i percorsi che si allungano – solo per arrivare a Parma da Casalmaggiore – di 20 chilometri, più spese, meno tempo individualmente da dedicare alle proprie cose. Con la spada di Damocle sulla testa del lavoro. Cinquanta giorni di vuoto. Sono quattro le strade – parlare di strade è già di per se un paradosso – che restano da percorrere.

TENERE IN VITA IL MORTO – E’ la soluzione che prospettano le province. Un anno di chiusura, 5 milioni da ‘gettare via’ su soluzioni di emergenza che non garantiscono nulla, se non qualche anno in più di agonia. Paradossalmente il ponte potrebbe venire riaperto e magari chiudere dopo un anno. E’ lo stesso ente che dice che il deterioramento è irreversibile. A chi giova? Lasciamo a voi le deduzioni, noi possiamo dire solo a chi non giova: al territorio tutto. Qualche iniezione in più di morfina, un ciclo ulteriore di chemio prima di sancire – definitivamente – che non c’è più nulla da fare e ritrovarsi con un cadavere appoggiato tra acque e golena. Solo il fatto che questo tipo di soluzione sia stata prospettata la dice lunga su come vengono gestite in genere le questioni italiche. Facciamo oggi quel che può essere fatto. Al domani ci penseremo domani. Un’alternativa tampone, 5 milioni gettati in acqua, senza alcuna prospettiva. E nessuna certezza.

FAR NASCERE IL BAMBINO – Un ponte nuovo, che sostituisca in tutto e per tutto quello vecchio. No, non pensate che sia una soluzione a tempi brevi. 4, forse 5 anni tra reperimento risorse, attribuzione di competenze, bandi, studi di fattibilità, progetti, cantiere. Sempre ammesso (e non concesso) che non vi siano ricorsi dopo gli esiti della gara. Un tempo insostenibile per un territorio che già boccheggia dopo solo due mesi. Un ponte nuovo andrà fatto, ma questo è un lavoro a prescindere dal resto. Al momento non ci sono neppure ipotesi di costo, ma già si sa che sarà ingente e richiederà un intervento da parte dello Stato centrale.

UN ANGELO CUSTODE – Un ponte alternativo, costo stimato attorno ai 15 milioni di euro, che potrebbe durare tutto il tempo necessario alla realizzazione di quello nuovo. E’ il progetto Ferroni, un progetto affascinante ma realisticamente non privo di incognite. Non si sa ancora la cifra esatta. E si può presumere che costerà cifre diverse a seconda di quanto resterà giù. Affiancato al cadavere, potrebbe essere realizzato secondo i tecnici della Janson Bridging in un tempo che va da 4 ai 6 mesi. Quello di cui però non si è tenuto conto è il tempo della burocrazia. Dovrà essere indetta anche qui una gara, un bando europeo vista la cifra, e servirà del tempo. E non si può al momento pensare ad uno stato di emergenza. In fondo gli altri due malati (San Daniele e Viadana) resistono. Non si sa per quanto tempo ancora la politica segue in genere e con rare eccezioni la regola del Lorenzo il Magnifico. Esser lieti – per quanto lo si possa essere – oggi perché del domani non vi è alcuna certezza. Resta da dire che al momento é l’unico progetto con un po’ di concretezza, anche la politica ha capito – al netto delle risate e del disinteresse iniziale – che anche quella potrebbe essere una soluzione percorribile. Il costo? Sempre inferiore a quello che il territorio perde di giorno in giorno. Il vantaggio rispetto alla riesumazione del morto? Potrebbe restare attivo anche per più anni e della manutenzione si interesserebbe il privato interessato alle proprie strutture più di quanto possa essere il pubblico per le sue. Su questo avremmo almeno una garanzia.

L’ARRIVO DEL SOGNATORE – Puntare sulla mobilità su ferro, potenziare il servizio ferroviario, puntare sull’intermodalità alle stazioni. E TiBre ferroviario. Costo stimato 60 milioni di euro. Uno sforzo organizzativo notevole, che richiede l’intervento statale, non privo di incognite. La prima, i soggetti in campo. Quanto RFI e Trenord sono interessate ad un potenziamento della linea? Come riuscirà Trenord a gestire il caos quando già l’ordinario è gestito in maniera sicuramente non ottimale? Come e per quanto tempo si sarà in grado di gestire l’intermodalità? Può da solo il treno bastare a pendolari, lavoratori ma anche a chi decide di muoversi dal cremonese al parmense o viceversa? E’ pur vero che il violinista Jones di Edgar Lee Masters morì felice, dopo aver suonato, con un violino rotto e nessun rimpianto. Ma era un sognatore poco avvezzo alla concretezza. La linea ferroviaria andrà potenziata, l’intermodalità spinta, ma da sola non può risolvere i problemi del territorio. Dovrebbe essere una soluzione che viaggia di pari passo con una di quelle precedenti, non un’alternativa lasciata a se stessa.

CONCLUSIONI – Resta un solo fatto incontrovertibile. A cinquanta giorni dalla chiusura del ponte non si sa ancora nulla di preciso. Nulla sulle scelte, nulla su chi (a parte i 3 milioni di regione Lombardia già sul tavolo) ci metterà le palanche. Nulla sul presente e ancor di più nulla sul futuro. Serve tempo, che il territorio non ha. Sono sempre di più le segnalazioni che riceviamo di imprese in difficoltà, attività a richio chiusura, gente che fa ancor più fatica ad arrivare a fine mese. Quanto potrà reggere l’Oglio Po ad un calo come quello attuale? Quanto potranno reggere le imprese – soprattutto quelle medio piccole – senza incentivi a fronte dell’aumento dei costi e al probabile calo di commesse? Quanto potrà reggere la gente comune, i pendolari, gli studenti al caos dell’emergenza? Sono tutte domande che restano senza risposta. Quel fiume, un tempo cerniera tra due opposte sponde fatte di uguali, ora è confine quasi invalicabile. E il quasi silenzio sulle soluzioni oscuro presagio. Queste lande, parmensi, cremonesi, mantovane di tempo da perdere non ne hanno più. Questa, al momento, l’unica certezza che resta.

Nazzareno Condina

© Riproduzione riservata
Caricamento prossimi articoli in corso...