Mennea, la durezza della vita e le sconfitte prima dei trionfi: ecco il libro di Savella
E’ stata ricordata, anche da Stassano, la sua battaglia al doping. "Quando nel 1984 gli venne prescritta una cura a base di somatotropina, gli ormoni della crescita, fece una conferenza per ammettere il suo errore e abbandonò subito quella strada - ha spiegato Savella - ed è difficile al giorno d’oggi immaginare una cosa del genere".
CASALMAGGIORE – Un viaggio alla scoperta del più grande atleta italiano di sempre. “Soffri ma sogni: le disfide di Pietro Mennea da Barletta” è il titolo del libro che l’autore Stefano Savella, barlettano proprio come il compianto velocista azzurro, sta promuovendo in tutta Italia, scegliendo anche Casalmaggiore, presso l’Atletica Interflumina e il suo Centro di medicina dello sport, per promuoverlo “perché qui ho trovato un piccolo gioiello di impianto”. L’incontro di giovedì sera, alla presenza anche del presidente dell’Interflumina Carlo Stassano, del velocista casalese delle Fiamme Gialle Fausto Desalu e del suo allenatore, storica guida della società casalese nel settore velocità, Gian Giacomo Contini, è stato dunque una collezione di aneddoti della vita di Pietro Mennea, contenuti nel libro e coltivati come perle, perché ciascuno trasmette un insegnamento. In sala anche il campione paralimpico e mental coach Andrea Devicenzi e il consigliere con delega allo Sport del comune di Casalmaggiore Giuseppe Scaglioni.
Pietro Mennea come sportivo, ma anche come studente che conseguì quattro lauree, la prima delle quali, in Scienze Politiche, a pochi giorni dall’oro olimpico conquistato a Mosca 1980, come commercialista, politico e non solo. “Quello lì corre come Mennea” la frase più gettonata fino agli anni ’90 dai ragazzini di Barletta, tra i quali lo stesso Savella, classe 1982, quando qualcuno era particolarmente veloce a correre tra le strisce d’asfalto del centro pugliese. “Non l’ho mai visto correre in diretta – ha spiegato Savella – ma ogni volta che si disputavano, nel mondo, i 200 metri, io mi attaccavo allo schermo e guardavo solo quel 19.72 in basso a destra, il tempo del record del mondo, sperando che nessuno lo battesse. Per noi quel tempo significava Barletta in cima al mondo: per un record durato 17 anni”.
Tra gli aneddoti più importanti quelli legati alla sua forza di volontà e sacrifico, una “forma mentis” applicata anche lontano dalla pista, ossia nel lavoro e nella carriera politica. “Nel 1969 voleva già correre in Nazionale A e poteva farlo con i suoi tempi – ha rivelato Savella – pur avendo solo 17 anni: per questo passava pe presuntuoso. Andò in Nazionale B e alla sua prima gara contro la Svizzera venne squalificato per doppia falsa partenza. Da lì maturò: era il 12 settembre 1969. Destino volle che esattamente dieci anni dopo Mennea realizzasse il record del mondo. Per lui la sconfitta era sempre fonte di forza per una vittoria successiva, mai motivo di abbattimento”.
A Monaco 1972 il bronzo olimpico, nel 1976 a Montreal un’altra delusione, col quarto posto correndo da favorito i suoi 200. A Mosca 1980, l’ultima occasione a cinque cerchi, il successo della consacrazione. “Ma quello fu un triennio irripetibile: vinse tre ori agli Europei di Praga nel 1978, fece il record mondiale a Città del Messico 1979 e vinse a Mosca 1980 l’oro con una rimonta clamorosa che la telecronaca di Rosi, assolutamente epica e incalzante, tuttora esalta facendoci venire i brividi” ha ricordato Savella. Mennea, è stato rivelato, inizialmente doveva essere inserito nel gruppo di marciatori della locale società di atletica di Barletta. Poi Franco Mascolo, primo allenatore che anticipò il famoso binomio con Vettori, fece uno scambio e lo prese nel gruppo dei velocisti. La prima laurea in Scienze Politiche ottenuta nel 1980, poco prima di Mosca e dunque in pieno stress agonistico, gli venne suggerita cinque anni prima del conseguimento nientemeno che dal presidente del consiglio Aldo Moro, poi assassinato dalle Brigate Rosse. “Studiava di nascosto dalla famiglia e da Vettori, che considerava lo studio una perdita di tempo” è stato spiegato.
Contini ha ricordato Mennea in una sua esperienza personale. “Nel 1978 andai a Praga a vederlo, in autobus, senza sapere una parola di tedesco. Avevo 22 anni, mi feci crescere i capelli come lui: in qualche video televisivo dell’epoca vengo anche inquadrato in tribuna mentre festeggio. Oggi a Formia, quando andiamo ai raduni della Federazione, tutte le volte si parla di Mennea, dei suoi allenamenti, della sua tecnica, della sua durezza di vita: pensate che visse sei anni in un albergo a cinque stelle, imponendosi però di restare sempre in un angolo, senza mai godere dei privilegi che quella vita poteva regalargli. Si allenava facendo venti volte i 60 metri, dieci volte i 300 e non smetteva ancora: quando si osservavano le sue tabelle di allenamento si pensava fossero per una squadra intera, invece erano per il solo Mennea”.
E’ stata ricordata, anche da Stassano, la sua battaglia al doping. “Quando nel 1984 gli venne prescritta una cura a base di somatotropina, gli ormoni della crescita, fece una conferenza per ammettere il suo errore e abbandonò subito quella strada – ha spiegato Savella – ed è difficile al giorno d’oggi immaginare una cosa del genere: fu una straordinaria provocazione”. A tal proposito Contini ha detto di aborrire le figure degli “atleti-gorilla”: “Lo stesso Desalu si ispira a figure come Mennea e Berruti, figure umane, costruite col lavoro e non con la chimica. A parte Bolt, tutte le medaglie della velocità degli ultimi 20 anni sono sporche”. E’ stata rimarcata anche l’importanza del riscatto sociale. “Mennea era molto vicino agli afro-americani, perché vedeva nel suo essere meridionale la difficoltà di emergere in contesti difficili – ha ricordato Stassano – . Sono bianco ma dentro sono più nero di te, disse a Mohammed Alì che si stupiva nel vedere un bianco come miglior velocista del mondo”.
Infine, prima del saluto di Scaglioni, Desalu ha ricordato di avere scoperto Mennea più tardi del solito, “convinto che il miglior atleta italiano fosse Berruti. Quando venne istituita la giornata per onorare la memoria di Mennea, mi accorsi della sua grande importanza per tutto lo sport italiano, che solo gli esempi hanno. Ho visto alcune sue gare su YouTube e mi ha colpito una sua intervista, quando diceva che si allenava 7-8 ore al giorno ma, potendo tornare indietro, oggi lo avrebbe fatto per 15 ore”.
Giovanni Gardani