agli... attacchi di swing
agli... attacchi di swing
MEZZANI/SACCA/CASALMAGGIORE – Benvenuti nella terra di nessuno, benvenuti nella Bassa dimenticata. Benvenuti nella zona che sta subito al di là del ponte sul Po. Provincia di Parma, regione Emilia Romagna, ma per tanti casalaschi e qualche cremonese è questa la terra del lavoro.
Il nostro reportage inizia alle 8.14 dalla stazione di Casalmaggiore: universitari, lavoratori – passeggeri saliti da 90 a 130 di media nelle ore di punta – e il solito annuncio scomodo. Parla di un guasto tecnico alla stazione di Remedello Sopra, nel bresciano, che causerà ritardi da 10 a 15 minuti. Proprio così. A Mezzani, prima stazione sulla rotta verso Parma, tempo di attraversamento quattro minuti, arriviamo attorno alle 8.30. Ci accoglie un cronista della Gazzetta di Parma, Cristian Calestani, residente a Colorno. In emergenza ci siamo arrangiati così. Ed è proprio il collega a mostrarci le condizioni fatiscenti della stazione di Mezzani, dove comunque, assieme a noi, scendono altre cinque persone.
Per passare dall’altra parte tocca superare i binari, senza passerella. Poi si arriva in un punto dove chi può si organizza per farsi dare un passaggio in auto. Noi compresi. L’alternativa è farsi una ventina di minuti a piedi per giungere fino alla zona artigianale o industriale di Sacca, di fatto il primo grande polo occupazionale dopo il ponte. Ci fermiamo un po’ prima, notando due cose: i camion che provano comunque a superare il ponte, nonostante lo sbarramento, e la via d’uscita verso l’argine, dove inizialmente, come ci spiega lo stesso Cristian, vigeva una certa anarchia. “I camion passavano comunque, spostando i limitatori che non erano fissati molto bene e andavano a caricare eccessivamente l’altro ponte sull’argine maestro di Mezzani. Poi per fortuna la situazione si è normalizzata dopo che ci si è accorti di chi faceva queste manovre poco lecite: così i limitatori sono stati fissati”.
Un colpo al cuore sovviene quando arriviamo davanti al Bar Lido. Aperto dagli anni ’50, è attrezzato con un parcheggio che, in condizioni normali, arriva a ospitare tra i 15 e i 20 camion. Oggi i mezzi pesanti sono soltanto tre e sono tutti di passaggio, perché ci provano, a superare il ponte, invano. Non essendo il titolare, il barista che incontriamo non accetta di farsi intervistare ma ci racconta tutto: lui, di Casalmaggiore, s’è svegliato alle 5 del mattino per prendere il primo treno. Di sera però, quando si chiude e magari il turno si prolunga è molto più difficile: “Prima impiegavo 5 minuti al massimo, adesso nelle ore di punta serve quasi un’ora, altrimenti 40 minuti se va bene”.
D’accordo l’emergenza, ma qui è un disagio quotidiano. Per questo il bar ristorante hotel Lido Po potrebbe anche chiudere. Mai, dagli anni ’50, si era prospettata una situazione del genere. Nel 2010 la chiusura ai mezzi pesanti era stata di un anno, alle auto invece di tre mesi. Nulla in confronto all’incertezza e a tempi che paiono poter essere biblici in questo 2017. Ed è proprio l’incertezza la sensazione che prevale nella terra di nessuno, dove anche la tangenziale iper-trafficata per Colorno, oggi, è un deserto di guard rail e asfalto.
Prima però ci sono le aziende, c’è chi lavora e porta lavoro. Un esempio su tutti: il comprensorio di Sacca di Colorno ospita diverse ditte importanti, tra queste anche la Transfer Oil. Un esempio calzante, assolutamente, del disagio cui le imprese sono costrette dalla chiusura del ponte, perché stante la vicinanza della Lombardia sono tanti gli operai e impiegati che arrivano dall’altra parte del Po. Alla Transfer Oil su 90 dipendenti complessivi, 26 arrivano dal Casalasco, da Casalmaggiore, Scandolara e Martignana di Po. Nel comprensorio di Sacca sono però un centinaio i lavoratori che ogni giorno attraversavano il ponte. E che lo fanno tuttora. Già, ma come?
L’ad dell’azienda Ugo Ferrari e il responsabile di reparto Pierluigi Sacripanti, di Martignana di Po, raccontano quello che è un disagio quotidiano, spiegando che il vero problema è doversi mettere nell’ottica di una situazione che durerà almeno per un paio di anni. A colpire è la solidarietà dei lavoratori: nessuno si è tirato indietro per “prestare”, per così dire, mezzora in più di lavoro agli operai del Casalasco. E se è vero che i turni non saltano e la produzione forse non ha subito un impatto tremendo, è giusto tenere conto anche della serenità e della qualità della vita degli operai.
Lontano dalle telecamere, ma con un racconto dettagliato, Ferrari spiega che i chilometri per i lavoratori da Casalmaggiore e Martignana da 5-7 sono diventati 38-40, passando da Viadana. Ed è vero che tanti, che arrivano da Parma o da Collecchio, di chilometri se ne sorbiscono anche dai 30 ai 50, ma il problema è che la nuova strada, unica percorribile a causa della chiusura del ponte, è scomoda, trafficata e lenta. Senza scordare il cambio di vita cui è stato sopposto chi vive nel Casalasco. A inizio settembre un nuovo assunto, residente a Padova, aveva preso casa in affitto a Casalmaggiore: poche ore dopo il ponte ha chiuso e lo stesso ha dovuto rifare tutte le pratiche, con problemi burocratici non di poco conto, per affittare a Colorno, già al di là dal ponte.
Ma se questo è un esempio isolato, che dire di tutti gli altri lavoratori? “Basterebbe che Trenord rispettasse quello che scrive sul proprio sito – spiega Ferrari – . Abbiamo tre stazioni: Casalmaggiore, Colorno e Mezzani. Noi, come azienda, non abbiamo problemi a organizzare un servizio navetta dalla stazione di Mezzani o di Colorno alla nostra sede, ma come facciamo se la puntualità è un optional e le cancellazioni sono all’ordine del giorno?”. Peraltro il treno delle 17.52 da Parma, che sarebbe perfetto per chi finisce il turno del pomeriggio, non ferma né a Mezzani né a Colorno. E pure qui qualcosa si potrebbe fare. Questo è il primo problema, che lo stesso Sacripanti evidenzia: “Ci eravamo attrezzati portando le biciclette a Mezzani, in stazione, per limitare i tempi di trasferimenti, ma ce le hanno rubate. In altre occasioni, invece, il treno arrivava a Mezzani, ma la porta non si apriva e così la fermata saltava, senza considerare ritardi che hanno toccato anche 45 minuti su una linea isolata, che in questi punti non ne incrocia altre”.
E se la richiesta legata a un migliore servizio ferroviario è giusta, sacrosanta pare quella di aprire il ponte almeno alle biciclette. “Invece a volte si fanno storie anche a chi vuole semplicemente portare una bicicletta sul treno. Se la famosa ciclabile fosse stata conclusa a suo tempo, qualcosa sarebbe cambiato. Non risolveremmo il problema di chi lavora a Parma, ma qualcosa nella Bassa migliorerebbe” spiega Ugo Ferrari. Anche perché sui turni notturni, in un’azienda che in qualche reparto non può fermare le macchine e la produzione, il treno non aiuta. Certo, anche qui, inserire qualche corsa in più non sarebbe male, dato che l’ultima è delle 20.30, poi il nulla.
“E con le nebbie e l’inverno, ci sarà da piangere” spiega Sacripanti, il quale rivela come è cambiata la sua vita. “Esco di casa un’ora prima, parto alle 6.45 e torno magari un’ora dopo, alle 19.30. Se prima potevo dedicarmi 10-12 ore all’azienda, in quanto responsabile di reparto, ora arriva a impegnare anche due ore e mezzo del mio tempo, in treno con i ritardi o in auto per i tempi biblici cui si va incontro, soltanto per andare e tornare da casa al posto di lavoro e viceversa”. Benvenuti nella terra dove la Transfer Oil, con il suo esempio, è solo un tassello di un puzzle più ampio, dove nessuno però è in condizioni migliori di quelle appena riportate. Già: benvenuti – e per fare questo saluto serve coraggio – se prima riuscite ad arrivarci…
Giovanni Gardani