Nonno Arthur, 17 anni, ora è luce, energia. Si spegne uno dei decani del canile di Calvatone
“E’ sempre difficile scrivere quelle quattro parole che danno l’assenso al termine vita” ci racconta la responsabile di Anpana. “Insistere voleva dire non volergli bene e togliergli quel briciolo di dignità che abbiamo sempre cercato di conservargli”
CALVATONE – No, non esistono ponti tra le nuvole e neppure prati dall’altra parte del cielo in cui chi ci lascia va a stare, raccogliendo la felicità che non ha avuto in vita. Esiste un energia, quella dell’universo, la polvere da cui veniamo, e a cui siamo destinati.
Il corpo è polvere, l’anima é energia alla quale, al termine di un viaggio ci ricongiungiamo per divenirne parte. Ciò vale per gli uomini, e vale per i nostri amici a quattro zampe. Arthur non ha fatto in tempo a vedere come sarebbe andato il concorso del progetto Quasi. Era stato candidato dai volontari del canile di Calvatone per un appello disperato. Perché nessuno, neppure il cane più sfortunato, come dice l’associazione romana che raccoglie animali problematici dal punto di vista fisico e psichico, deve morire solo.
Arthur è stato ricoverato in clinica e l’Anpana ha dato l’assenso a farlo addormentare. Non avrebbe avuto senso, con il quadro clinico (fegato compromesso, intestino al collasso tra l’altro, la probabile recrudescenza di un tumore) continuare ad accanirsi per tenerlo in vita. Con lui, negli ultimi istanti, Lalla e Loris che non l’hanno lasciato solo un istante. A loro e a Patrizia, con il dolore nel cuore, il compito di accompagnarlo nell’ultimo sonno, quello eterno.
“E’ sempre difficile scrivere quelle quattro parole che danno l’assenso al termine vita” ci racconta la responsabile di Anpana Patrizia Storti. E le crediamo, perché sappiamo quanto amore e passione metta lei, insieme agli altri volontari, in tutto quel che fa. “Insistere voleva dire non volergli bene e togliergli quel briciolo di dignità che abbiamo sempre cercato di conservargli”.
Arthur adesso è nei ricordi di chi l’ha curato e conosciuto, di chi lo ha amato. “Anche per noi non è facile, ho ancora stampato in mente la prima immagine di Arthur nell’ultimo box degli infettivi, con la lampada riscaldante e un maglioncino strettissimo perchè era fortemente obeso. Respirava a fatica, mai curato”.
A prendersene cura un po’ tutti i volontari del Canile. La sua storia era simile a quella di tanti altri cani che avevano conosciuto la sofferenza. Abbandonato a quindici anni dai suoi proprietari, fortemente ammalato, si era ritrovato all’improvviso senza nessuna certezza, con un quadro clinico difficile e i segni profondi dell’abbandono nell’anima. Piangeva nei primi tempi nel box. In quel box trasformato dal destino nell’ultima dimora.
“Lo avevamo visto rinascere con noi: cibo giusto, qualche piccola accortezza, usciva in passeggiata e a sgambare tranquillamente. Abbiamo preso qualche morso da lui quando non voleva mettere i colliri ma il tempo scorre inesorabile. L’amarezza più grande è che nessuno gli abbia mai voluto dare una possibilità fuori da qui. Per il resto lo abbiamo amato tanto, anche se in due anni con noi non ha mai abbaiato nemmeno una volta e nemmeno scodinzolato. Lo amavamo, così come era”. Come tutti gli altri ospiti del canile. Seguito con affetto e preoccupazione. Altre volte, soprattutto negli ultimi tempi, era stato portato in clinica convinti che non ce l’avrebbe fatta. Ma Arthur – in ossequio al nome – aveva sempre combattuto e vinto le più dure battaglie e si era ripreso. Sino all’ultima, sino a ieri.
Non si faceva fatica ad amarlo, nonno Arthur, neppure negli ultimi tempi. Cieco, caracollante, sofferente, spesso addormentato nella sua cuccia si faceva carezzare. Non aveva più quasi forza, ma tirava su il naso, a volte faceva qualche passo. Un’infinita dolcezza insieme allo strazio di vederlo lì, dove non si fermava nessuno se non i volontari. Quando era in piedi ti annusava. solo per qualche istante prima di cedere ancora alla stanchezza. Certo non capivi quale giovamento traesse da tutto questo, ma capivi quale fosse il giovamento che ne riuscivi a trarre tu. Se l’anima è energia, di quella energia quel vecchio cane, ne trasmetteva parecchia anche in vita. Non di quella visibile, di quella che noti perché la percepisci nei movimenti. Ma di quella più profonda, che va diritto all’anima.
Arthur alla fine si è arreso, non ce l’ha fatta ma a Calvatone ci sono altri nonni che aspettano che sia data loro almeno una possibilità. Un’istante di felicità in una vita intera. L’energia cambia soltanto forma, ma resta. Arthur lascia un grande vuoto nel suo box, ma la sua energia ora è luce nei cuori di chi l’ha amato e conosciuto. Arthur – che luce era già in vita – adesso è luce più forte. Ancora più profonda.
Nazzareno Condina