Involucri in nylon utilizzati per la pastura, Vitaliano Daolio redarguisce i pescatori: "Il Po non è una discarica!"
“Faccio parte della Commissione pesca della FIPSAS, e porterò questo problema all’attenzione della federazione perché ancor prima di urlare ai predoni del Po è giusto che cominciamo a guardarci in faccia. Non è un problema solo per Motta Baluffi e per questo tratto di fiume"
MOTTA BALUFFI – Il fiume non è una discarica. A lanciare il grido d’allarme Vitaliano Daolio, guida pesca professionista e membro della commissione pesca FIPSAS. “10 lanci con un’ancoretta piombata – spiega – sullo spiaggione di Motta Baluffi in 30 metri ed ecco cosa ho raccolto, calze di nylon. E’ un problema che ha almeno 10 anni, non è di ieri. La fibra di nylon per la fabbricazione dei collant è un derivato del benzene che per essere degradato in natura necessita dai 50 ai 600 anni. Penso che chi pesca i cefali debba iniziare a pasturare con tecniche diverse. Il fiume non è una discarica”.
Una tecnica, quella della pastura con le calze di nylon, molto utilizzata dai pescatori di cefali, ma inquinante per il fiume quando esistono altre tecniche molto meno invasive per questo tipo di attività sportiva. “Faccio parte della Commissione pesca della FIPSAS, e porterò questo problema all’attenzione della federazione perché ancor prima di urlare ai predoni del Po è giusto che cominciamo a guardarci in faccia. Non è un problema solo per Motta Baluffi e per questo tratto di fiume, sono tantissimi gli involucri come quelli”.
E’ inquinamento anche questo, un reato di tipo ambientale che andrebbe stigmatizzato e punito come chi inquina: “Se io butto immondizia nel fiume sono punibile. Quella è immondizia”. Il problema è serio. Ed è un impedimento in più ad una situazione, quella fluviale, che ha mostrato e continua a mostrare comunque segni di ripresa.
“Il Po? E’ un malato che sta molto meglio. E’ stato – prosegue Daolio – quello del trentennio 60, 70 e 80 quello di massimo degrado, quando le industrie scaricavano in fiume senza particolari controlli e le grandi città, come Milano, scaricavano i reflui nel Lambro. Per Milano è stato così sino al 2004. Oggi la tecnica è avanzata e la depurazione ha fatto passi notevoli. Il fiume è un malato che sta meglio, e non lo dico io, ma ci sono segnali che lo testimoniano. Da 5 anni a questa parte, ad esempio, in Po sono tornate le alborelle, dopo anni che erano scomparse. E’ un segnalatore biologico del miglioramento. Il Po ha un ricambio d’acqua velocissimo, le acque che oggi passano di qui tra una settimana sono in mare. Il sedimento sabbioso poi fa da filtro naturale. Certo poi bisogna fare in modo che i miglioramenti continuino”.
La strada da fare però resta tanta. “La comunità Europea ci chiede che i fiumi, tutti i fiumi tornino balneabili entro il 2020. Con il Po, e in generale in Italia, siamo ancora un po’ indietro e sono convinto che a partire dal 2020 pagheremo sanzioni perché non potremo rispettare quel che ci chiede l’Europa. Come cittadini possiamo fare tanto per il fiume, partendo dalle piccole cose, dall’educazione civica che un tempo veniva fatta a scuola. Una gomma da masticare gettata a terra ci impiega 3 anni a decomporsi. Bisogna ripartire, e tutti dalle piccole cose, dalle cose banali, che poi banali non sono”.
Assecondando questo processo di lento miglioramento. Per questo anche la battaglia sulla pastura col nylon è una battaglia importante. “Vorrei che queste battaglie le facessero in tanti, altrimenti rischio di passare sempre per il rompicoglioni. Ma io spero fortemente di rivedere il fiume di quando ero bambino e a Guastalla mia nonna noleggiava l’ombrellone e ci portava a fare il bagno. Oggi abbiamo le conoscenze tecnologiche e le possibilità per poter ridare al fiume quel che era in quel tempo. Quel che manca è una legislazione più forte e spesso il rispetto per quello che è il nostro oro, la nostra vera ricchezza, il Po”.
Nazzareno Condina