Viadana Facchini, gli 8 scrivono al vescovo "Disposti a morire di sete"
Gentile Vescovo, oggi, dal tetto dell'azienda che abbiamo contribuito a far crescere, con il lavoro delle nostre braccia, giorno dopo giorno, per decenni, scriviamo a Lei, per appellarci ai valori cristiani di solidarietà
VIADANA – Un appello al Vescovo di Cremona. L’ultima carta degli 8 ex dipendenti Viadana Facchini asserragliati ormai da oltre 30 ore sul tetto della ditta Composad, e per nulla disposti a scendere. Senza acqua e cibo, come dicono loro, ma “Disposti a morire per una giusta causa”. La lettera è stata recapitata a Mons. Napolioni. Questo il testo integrale.
“Gentilissimo Vescovo di Viadana, diocesi di Cremona, siamo otto operai e Le scriviamo dal tetto della Composad di Viadana, l’azienda in cui abbiamo lavorato da sempre, da quando siamo arrivati in Italia. Siamo stati chiamati a lavorare qui e abbiamo lasciato le nostre famiglie in India, in Pakistan e in Marocco, perché ci avevano promesso una vita dignitosa. Ci hanno aiutati ad integrarci, a sposarci, a far venire in Italia le nostre mogli e oggi abbiamo dei figli nati e cresciuti a Viadana, che frequentano le scuole a Viadana e frequentano l’oratorio. Noi otto siamo sul tetto ma davanti al cancello dell’azienda ci sono i nostri colleghi: per il futuro delle nostre e delle loro famiglie stiamo patendo la fame e la sete da due giorni. Siamo 271 persone, italiani, indiani, marocchini, albanesi, senegalesi, ghanesi e alcuni sono Cristiani come Lei, caro Vescovo. Altri sono Sikh, Hindu, Musulmani. Siamo tutti insieme a lottare per la paga negata, per un accordo firmato in prefettura un anno fa che non è stato rispettato e perché fra due giorni saremo tutti ufficialmente disoccupati quando la Viadana Facchini, di cui siamo soci e che ci ha truffati, chiuderà i battenti come se niente fosse…
Ci vengono negati i soldi con cui dar da mangiare ai nostri bambini. Se siamo arrivati su questo tetto, senza cibo né acqua né le medicine di cui abbiamo bisogno è perché le abbiamo già provate tutte. Abbiamo fatto tavoli di contrattazione in prefettura, in Regione Lombardia, assemblee, sit-in e cortei pacifici con i nostri bambini e le nostre mogli e siamo stati più volte malmenati dalle forze dell’ordine e derisi dall’azienda che tenta di impedire con ogni mezzo che i lavoratori interni ci mostrino solidarietà. Molti sono stati solidali con noi, fra i lavoratori della Composad, i sindacati, i politici, i cittadini, ma finora a nulla è servito. Perciò, Gentile Vescovo, oggi, dal tetto dell’azienda che abbiamo contribuito a far crescere, con il lavoro delle nostre braccia, giorno dopo giorno, per decenni, scriviamo a Lei, per appellarci ai valori cristiani di solidarietà e di accoglienza. Ci stanno negando anche l’acqua. Noi non scenderemo da questo tetto finché non ci daranno la paga che ci spetta. Se dovremo morire di sete, moriremo per una giusta causa. Non importa se nessuno ascolterà le parole cristiane che dicono di dare da bere agli assetati…”. Seguono le firme: Mandeep Singh, Jaswinder Singh, Riaz Muhammad Sarfaraz, Sukhveer Singh, Makhan Singh, Bachiter Singh, Jassi Amandeep e Abderrafia Bouladial.
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