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Storia di Pasqua: Luca Tironi ha sconfitto il male tre volte e ora è tornato in pista a correre

Luca Tironi da Solarolo Rainerio ha 22 anni, due occhi accesi, una chioma, lontana dalle chemio, da Re Leone, come il nome della sua pagina. E una storia enorme, come il suo coraggio, da raccontare. Questa è la narrazione della sua rinascita, che venerdì lo ha riportato su una pista di atletica.

Nella foto Luca Tironi con fidanzata e sorella prima dell'ultima operazione; a destra invece in pista qualche anno fa: un'immagine che presto potremo rivedere

Se sei sempre stato un velocista e la vita ti mette dinnanzi una maratona, beh, significa che forse ha voluto consegnarti un messaggio. Uno di quelli che rimangono impressi per sempre, come piccole cicatrici su pelle, come cento origami, come mille fotografie. Come una pagina Facebook o un canale YouTube che sono il cannocchiale sul mondo e per il mondo di un ragazzo che tutto ha avuto e tutto ha perso. “Ma mi è servito per riconquistare, giorno dopo giorno, la mia vita. Quella di prima, vista però da una prospettiva diversa, più matura”.

Luca Tironi da Solarolo Rainerio ha 22 anni, due occhi accesi, una chioma, lontana dalle chemio, da Re Leone, come il nome della sua pagina. E una storia enorme, come il suo coraggio, da raccontare. Facile essere retorici dinnanzi a tutto questo. E allora sfruttiamo l’ironia di Luca, così, per bilanciare. “Ho vissuto un’esperienza nuova: in effetti, in vent’anni, non mi era mai capitato di ammalarmi così. Non sarà che sono stato addirittura fortunato?”

Inizia tutto il 20 gennaio 2014: a 19 anni (“19 anni, 7 giorni e 18 ore” come piace ricordare a Luca) viene diagnosticato al ragazzo un tumore. Si chiama linfoma di Hodgkin, è raro tra i 20 e 30 anni, ma quella massa di 10 centimetri per 10 centimetri sembra una condanna. “All’inizio ero quasi, come dire?, eccitato: ho sempre vissuto a caccia di novità e adrenalina. Ecco, questa era la mia esperienza nuova”.

La pagina Facebook del Re Leone (nome esteso: “Il Re Leone – Black Holes and Revelations”) nasce però dopo. “C’è un piccolo particolare da non tralasciare: ho avuto due recidive. E lì non ero più così eccitato. La seconda volta è stata dura, perché il tumore è ricomparso ad agosto e io avevo appena iniziato a studiare per gli esami di settembre. Mi sono rifiutato di crederci, e invece era vero. Così, dopo le terapie, si è reso necessario l’autotrapianto di midollo osseo. La terza volta è stata invece drammatica, poche storie: la malattia, sei mesi dopo, era ricomparsa con una piccola lesione allo sterno. Ecco, lì, per 3-4 settimane, ho visto nerissimo. Poi mi sono rialzato”.

Arriva un momento in cui l’organismo di Luca dice: “Stop, il tempo della sofferenza è finito”. “Proprio così, e ho capito che raccontare la mia esperienza avrebbe aiutato me e un sacco di gente. A ottobre 2016 ho aperto la mia pagina Facebook, oltre a un canale YouTube: dovevo pure occupare il tempo libero. La malattia mi ha portato via tutto, ma non il sorriso. E allora ho guardato in faccia quello che stavo vivendo, come potrebbe farlo un ragazzo della mia età. Ci ho anche riso su, per dare speranza a chi mi è stato vicino e pure a me stesso”.

L’operazione del 26 gennaio, quella che ha sconfitto in modo definitivo la malattia, mette in scena un angelo, Giulia Tironi, la sorella di Luca. “Con la terza recidiva, i medici avevano capito che serviva un trapianto da donatore: e mia sorella era idonea. Capita a una persona su 10mila, giusto per rendere l’idea. Mi avrebbero dovuto operare a Natale, poi per vari motivi – e dato che il Centro era affollato – si è preferito aspettare qualche settimana e il 26 gennaio tutto si è compiuto. Ero ricoverato all’Istituto Nazionale dei Tumori a Milano, dove sto ancora per buona parte delle mie settimane, in un appartamento in affitto con mia madre”.

Operazione rischiosa, la tua? “In realtà no. Il rischio arriva dopo: sostanzialmente, ti inseriscono un catetere venoso centrale alla base del collo e da lì prendi midollo osseo dal donatore. Il dolore scompare in un paio di giorni, ma il timore è tutto concentrato sui dieci giorni successivi. Perché? Beh, è come se venissero azzerati completamente i valori del sangue. Devi aspettare dieci giorni perché il nuovo midollo si attivi, in questa finestra non hai alcuna difesa e pure un banale raffreddore può ucciderti: il 10% di mortalità in casi come questo è una percentuale abbastanza alta. Senza scordare il rigetto. Ora continuo a prendere immunosoppressori ed evito luoghi affollati, ma la debolezza sta scomparendo, e inizio pure a lavorare con la testa, a leggere qualcosa. Il solco verso la guarigione è tracciato”.

Come nelle migliori storie, ad un certo punto arriva il colpo di scena. E anche noi lo abbiamo tenuto da parte. Luca è stato, anzi è tuttora, grande atleta e velocista. “Mi piacciono i 100 e 200 metri, e i 60 indoor durante l’inverno. Qui la mia storia, almeno alle origini, è meno straordinaria: è successo come per tanti ragazzi, la scuola organizzava i Giochi della Gioventù e io, che a 13-14 anni ero grassottello, ho iniziato e mi sono ritrovato dietro al più forte di tutti nella mia scuola. Secondo posto, il mio professore e assieme a lui Gian Giacomo Contini, già colonna dell’Inteflumina, mi fanno: “Perché non vieni a provare?”. Conoscevo ragazzi di San Giovanni in Croce e Solarolo Rainerio e così ho iniziato questa avventura”.

Pista e stelle: Luca è iscritto all’Università di Astrofisica a Padova. “Mi hanno sempre affascinato, una grande passione. Ecco, la mia malattia s’era presa il mio tempo, la mia corsa, la mia università. Tutto, in pratica. E tutto io ho voluto, e voglio, riconquistare piano piano. A livello universitario, non perderò la borsa di studio e la residenza a Padova, dato che dopo la terza malattia mi è stata concessa l’invalidità e dunque potrò completare la laurea triennale in cinque anni, senza andare fuori corso. Non ho perso tantissimo, è questione di punti di vista: un semestre durante la prima recidiva e ora altri sei mesi. Ma i professori sono disponibili, sanno capire la situazione e, se serve, sono pronti a fissare qualche esame in date ad hoc, concordate insieme. Poi, per carità, non voglio favoritismi: e non credo di averne mai chiesti”.

Luca è stato pochi giorni fa a Solarolo Rainerio, dove torna quando può. “Ho avuto un’agenda un po’ densa di impegni ultimamente – scherza – ma proprio lo scorso weekend ho avuto un permesso premio e sono tornato”. Ritorno è in effetti la parola chiave di questa fase della storia. Ritorno in pista, anche? “Prima di ammalarmi la prima volta facevo allenamenti su allenamenti per arrivare ai Nazionali: avevo 7’’32 sui 60 metri e il minimo era 7’’14. Dopo la prima guarigione ho fatto, in manuale, 7’’00: ci sono, mi sono detto, mi basta ripetere la prova in una gara ufficiale. Poi è arrivata la recidiva. Mi sono ripreso, mi sono allenato e sono sceso a 6’’9. Seconda recidiva e tutto da capo. Se tanto mi dà tanto, adesso sono pronto ad andare a prendere Usain Bolt”.

Intanto, per cominciare, Luca può ritrovare le emozioni che viveva quando si allenava fianco a fianco con l’olimpionico Fausto Desalu. “Ho visto che un pochino di strada Faustino ne ha fatta… Mi sono allenato con lui per sette anni e lo vedo spesso: siamo rimasti amici. Il divario di talento è stato evidente da subito, ma lui era uno stimolo. L’agonismo sano aiuta tutti, ha aiutato anche me”.

Per ripartire manca solo l’ok dei medici ma intanto Luca ha ripreso a corricchiare, per una sorta di nuovo esordio in pista giusto venerdì. “Proprio così, ma la testa era già lì in pista da un po’, oltre che sui libri o, se preferite, tra le stelle, visto ciò che studio. Le due cose non sono scisse, dato che ora sono iscritto all’Assindustria, club di Padova, città dove vivo i miei giorni universitari. E’ da tre anni che inseguo una gara: e io ai Nazionali voglio andarci per davvero. Per potenziale, per orgoglio, perché so che cosa valgo. E perché, in fondo, credo di meritarmelo. Per ora ho ripreso a simulare le partenze con scatto dai blocchi, almeno per vedere se ancora mi ricordo come si fa”.

Capitolo origami, realizzati durante la malattia. “L’idea era semplice: trovare un modo per reagire, dunque inventarsi un passatempo. Raccontare la mia storia, ma lasciare anche un segno tangibile, mediante queste piccole forme d’arte manuali, che sono poi divenute il simbolo della mia lotta. Ecco, il messaggio era inizialmente per me stesso, per darmi una mano a superare i momenti bui, per riderci su. Poi ho capito che quanto stavo facendo avrebbe sensibilizzato altri giovani sull’importanza della vita e del donare. Oggi i ragazzi fanno fatica a parlare di tumore, hanno paura e non si avvicinano nemmeno all’argomento, non vogliono considerare che la quotidianità possa essere stravolta in un lampo. Quello che ho fatto, nel suo piccolo, vuole invertire la rotta. E qualche risultato già c’è”.

Ossia? “Nel dolore la solidarietà è il primo gancio al quale aggrapparsi. E nel dolore tante persone mi hanno scritto: due genitori di Roma, ad esempio, il cui figlio di 3 anni, Matteo, ha appena fatto il trapianto, proprio come me. Persone deliziose. Non solo: da quanto ho iniziato a postare i miei video su Facebook, sono usciti alcuni “match” di compatibilità di nuovi donatori. Significa che le persone che mi hanno visto hanno capito quanto sia importante donare o mettersi alla prova, anche solo per un piccolo esame. Inoltre ho in programma qualche conferenza sul tema: Admo mi ha già chiamato, quando mi sentirò bene mi piacerebbe parlare della mia esperienza, magari in una scuola, proprio per abbattere questo tabù verso i più giovani”.

Hai mai maledetto la tua malattia? “Nei giorni in cui il dolore, più mentale che fisico, era insopportabile, sì. Così come quando passavo pomeriggi interi a vomitare in bagno a causa delle terapie. Però è stata anche una benedizione. Tra qualche anno mi volterò indietro e dirò: “Ho sofferto come un cane, ma chi se ne frega, guarda cosa ho guadagnato”. La sfida è restare positivo, è cerebrale, e andare da una psicologa mi ha aiutato tanto quanto medicine e terapie. Un mio amico mi chiese: “Se potessi scegliere se rivivere tutto questo oppure tornare indietro e passare tre anni lisci, cosa faresti?”. Io gli ho risposto che non avrei cambiato una virgola e che ero contento di quello che sono diventato. Perché il dolore passa, tutto il resto rimane”.

Se la vita ti propone una maratona, è solo perché sa che la puoi vincere…

Giovanni Gardani

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