Cultura

Tobjah: la Centralissima cresce. L'underground declinato al casalasco

La Centralissima fa un passo in avanti, sale qualche gradino della scala di qualità con uno dei più bei concerti - forse il più intenso - di tutta la serie di quelli messi in campo sino ad ora.

CASALMAGGIORE – Un folk scarnificato, intimista e ipnotico, un post-folk del tutto personale con echi dei maggiori (da Joni Mitchell al primo Dylan, qualcosa del Bennato in versione acustica) songwriters americani e italici ma pure arpeggi ripetuti all’infinito, in una sorta di mantra capace di incidere l’anima di chi lo ascolta. Post folk, acid folk, alternative folk. Ma poi, chi se ne importa delle definizioni. Siamo solo noi malati di mente che abbiamo bisogno costantemente di un processo identificativo, non certo chi canta e chi lo fa come Tobjah, con una sua storia alle spalle ed un processo di introspezione in corso, ‘armato’ solo di una chitarra anni ’70 suonata con più stili ma sempre in maniera eccelsa, di un’armonica a bocca e di una voce che raggiunge note alte e di poco altro. Un incenso ad inondare la sala di percezioni olfattive oltre che uditive, luci soffuse ed una birra ad irrigare un ugola sottoposta a giravolte notevoli.

La Centralissima fa un passo in avanti, sale qualche gradino della scala di qualità con uno dei più bei concerti – forse il più intenso – di tutta la serie di quelli messi in campo sino ad ora. Ieri sera è stato il momento di Tobjah (al secolo il veronese Tobia Poltronieri), una più che discreta storia alle spalle (vedasi C+C=Maxigross e collaborazioni varie con artisti del calibro di Cooper Seaton, Marco Fasolo, Oliver Coates, Hakon Gebhardt, Laetitia Sadier, Martin Hagfors) messa da parte per ripartire da terra. Abbandonando, come lui stesso ha spiegato, l’inglese che fa figo per un italiano che è lingua madre, l’unica utilizzabile per esprimersi nel profondo e per farlo con estrema semplicità, in maniera colloquiale.

Poco meno di un’ora di musica, con un bis (un omaggio a Battisti) e tanta riconoscenza da parte dell’apparato uditivo del pubblico presente, una masnada di giovani musicisti, di giovani un po’ più adulti e di amanti della musica fatta così, per guardare e guardarsi nel ventre molle del proprio io, per scartavetrarsi l’anima dalle ruggini quotidiane o anche no. Solo per rifarsi le orecchie dalla polvere.

E così la Centralissima agisce come la signora Palmira e il suo spolverino in piume da passare sui mobili, prima del caffé con le vicine di casa (che qui in genere è birra, ma non potevamo affibbiarla alla signora e alle sue amiche), aumentando in maniera esponenziale il proprio valore proprio per quella componente ‘sociale’ che invero gli organizzatori fanno di tutto per mettere in risalto.

Peccato – per l’ennesima volta invero – che non vi fosse nemmeno l’ombra o quasi della cultura alta locale e di chi la rappresenta, quella che si sciroppa nomi altisonanti che da secoli ripetono le stesse cose e rifugge come la peste bubbonica l’underground dove ci sono poche persone e pochi occhi da raggiungere, poca gente per farsi dire bravo e a far fotografie ricordo. Ci han perso sicuramente loro. Perché la vita, la musica, la bella gioventù, le note attuali, la canzone che è passione sopra ogni altra cosa pulsa qui. Tra ragazzi che hanno un anima, organizzatori in erba che sanno il fatto loro, musicisti dalle altissime capacità (Tobia Poltronieri è un chitarrista fine, un vero professionista della chitarra classica), bevitori di birra e naviganti di sogni. Gente che viene ad imparare qualcosa da chi qualcosa da insegnare ancora ha.

Nazzareno Condina  

© Riproduzione riservata
Caricamento prossimi articoli in corso...