Dal rock denso al folk intimista: la Centralissima fa ancora centro
Due generi distanti, due modi diversi diversi di manifestarsi sul palco. Un'unica musica: quella che si ha dentro che alcune volte si posa, in altre graffia e poi esplode, in altre ancora si mescola all'alcool e alle schegge di vita.
CASALMAGGIORE – Partiamo dal fondo. Fosse pure quello di un bicchiere di birra. Sicuramente era qualcuno in più, di un bicchiere e qualche fondo in più, ma poco importa. Peccato, ma solo per chi non c’era. L’esibizione di Bob Corn al Bar Centrale di Casalmaggiore, nell’abito della rassegna ‘La Centralissima’, é stata una di quelle esperienze da ricordare. Anima punk in gioventù, ormai volta ad un folk piuttosto intimista, Tiziano Sgarbi da San Martino Spino (Modena), in arte Bob Corn, ha retto un’ora e mezza di ‘concerto-intrattenimento’ in maniera straordinaria. Una sorta di performance teatrale senza alcun canovaccio, quanto meno all’apparenza, senza alcuna scaletta precisa, guidata da aneddoti, riflessioni a volte comiche, in altre crude e reali che si sono mescolate, come mescolata ed arruffata è la vita stessa. Una mente paradossalmente lucida la sua, come nei racconti di vita del post terremoto. “Parti da un punto di nebbie e zanzare. Spazi da un punto all’altro della vita, fai un passo dopo l’altro. A volte ti volti indietro, guardando a quel che sei stato. Pensi questo mi piace, quest’altro un po’ meno. Poi un giorno ti svegli e ti accorgi che devi ripartire dalla prima tappa, dal paese in cui sei nato, dalle nebbie e dalle zanzare”. Un cantastorie al contrario, nel senso che le storie le ha raccontate con l’intermezzo della musica. La musica. Sua, ma con cover di Johnny Cash, di Alberto Camerini e dei Nomadi. Chitarra, voce e ritmo fissato dal battere dei piedi sul pavimento. Bob, guitto della musica, di quella che hai la fortuna di ascoltare quasi per caso (la stessa che piace a lui), a un certo punto ha deciso di imbracciare la chitarra suonando tra le persone, in piedi, andatura un po’ caracollante e voce a tratti limpida, in altre graffiata ma sempre ‘sul pezzo’ nonostante tutto. Ha divertito e fatto riflettere, in alcuni tratti commosso. Barba grigionerobianca arruffata, un po’ la metafora della vita se ci si pensa. Di una vita, la sua, spesa suonando in piccolissimi locali in giro per l’Europa, promuovendo piccoli gruppi ed organizzando eventi musicali con gli amici sparsi in tutta Italia, suonando con la banda del paese e con i ragazzi autistici “Le cose originali, che meritano attenzione le trovo lì. Un concerto dei Motorhead in fondo è sempre quello, sempre lo stesso”. Il suo non è stato lo stesso, e non sarà lo stesso in altre date. Perché poi le parole, come i pensieri, non vengono sempre uguali e se li lasci scorrere, si sovrappongono mostrando sempre colori – ed umori – diversi.
Prima di Bob Corn era stato il turno dei casalaschi Mister Furto e Lady Paccottilla. Tutt’altro genere: un blues/rock denso, densissimo, difficilmente definibile. Li avevo sentiti qualche anno fa e di strada, da allora, ne hanno fatta parecchia. Sono prepotentemente cresciuti, propongono un genere non semplice. Atmosfere cariche (si sentono i riflessi dei Queen of Stone Age, atmosfere ricche di nuvole, pioggia e tuono, un po’ di roots e di grunge e molta ricerca nei suoni soprattutto) un ‘pesantissimo’ e lucido supporto ritmico (una sorta di metamorfosi pensando alla ‘piccola’ Francesca Peschiera che dietro la batteria mostra un’energia particolare, fortissima) e la voce profonda, calda e distorta di Matteo Casetti col supporto – speciale, pure questo li ha fatti crescere a dismisura dai tempi in cui erano ‘solo’ un duo – di Giuseppe Anversa. Anche loro – lo spazio lo consentiva – hanno avuto alcuni momenti di confronto diretto col pubblico. Tanti gli amici Casalaschi che ne hanno potuto apprezzare i suoni.
Siamo partiti dal fondo, e tornati all’inizio. Due generi distanti, due modi diversi diversi di manifestarsi sul palco. Un’unica musica: quella che si ha dentro che alcune volte si posa, in altre graffia e poi esplode, in altre ancora si mescola all’alcool e alle schegge di vita. La scommessa di un manipolo di giovani ed intraprendenti ragazzi di cercare e trovare punti di contatto con la rassegna ‘La Centralissima’. Straordinario infine che lo stesso pubblico del rock pesante sia poi stato lo stesso del folk intimista e sgarrupato: segno dei tempi e – intelligenza – di chi non ha perso la voglia di ascoltare portando a casa ogni volta qualcosa di nuovo e di diverso. Di indubitabilmente unico.
Nazzareno Condina