Casalasco, non è
un paese per ciclisti:
sono strade di sangue
Nella foto la scena dell’incidente costato la vita a Mattia Rossi: l’ultimo di una serie troppo lunga
Viaggiare nell’Oglio Po, ma non in bici, mi raccomando. Lo slogan per lanciare turisticamente il nostro territorio, ricco di bellezze naturali e proprio per questo ideale da percorrere su due ruote, cozza contro una pericolosità delle sue strade che ne sconsiglia l’utilizzo per chi pedala.
Purtroppo la cronaca ci segnala continuamente incidenti, l’ultimo dei quali è costato la vita, nella serata di venerdì 4 settembre, a un 19enne di Solarolo Rainerio. Mattia Rossi stava tornando in bici come spesso faceva da una visita ai nonni a Gussola, ma con le giornate accorciate alle 8 di sera era già buio. L’autista di un furgone, probabilmente ansioso di tornare a casa dopo una settimana di lavoro, sopraggiungeva veloce alle sue spalle e non l’ha visto. Mattia è stato urtato con grande violenza e trascinato a 150 metri circa dal punto di impatto.
E’ trascorso meno di un anno da quando OglioPoNews pubblicò un elenco di incidenti accaduti in due anni nell’Oglio Po che hanno coinvolto ciclisti. Un elenco lunghissimo, fatto all’indomani di un sinistro costato la vita ad un uomo travolto da un’auto sul ponte tra Canneto e Piadena. Tra quell’incidente e questo di Solarolo, un filo comune anche a tanti altri: è accaduto di sera, il ciclista non segnalava la sua presenza con luci o giubbini catarifrangenti e l’autista non l’ha visto.
Da qui la necessità, oltre che di intervenire in qualche modo sulle carenze infrastrutturali, anche di informare la popolazione sui rischi di una cattiva condotta, il che vale sia per i ciclisti che ovviamente per gli automobilisti. Ad esempio la scorsa primavera la Scuola Media Diotti di Casalmaggiore ha ospitato il progetto “Sulla buona strada in bici”, per sensibilizzare gli alunni riguardo l’uso di giubbini catarifrangenti la sera e sulle norme del codice della strada. Ottima iniziativa.
Sta di fatto che le nostre non sono strade per ciclisti. Spesso si assiste a battaglie ideologiche che spostano l’attenzione alle zone 30 in città e altre iniziative. La “città a misura di bambino” lanciata da Slow Town va bene, ma il vero problema, scorrendo il triste elenco di incidenti, sta anche al di fuori dei centri abitati. Nel Casalasco ci sono strade lunghe e dritte che invogliano gli autisti a pigiare sull’acceleratore, come la Provinciale Bassa tra Gussola e Motta Baluffi, la citata “stradella” tra Gussola e Solarolo per non parlare dell’Asolana tra Vicobellignano e Piadena. Di piste ciclabili neanche l’ombra. Sarà che le casse degli enti pubblici non consentono investimenti, ma quanto costa una vita umana? Qual è il limite da superare? I crudi numeri ci dicono che da qui a un anno perderemo altre vite. E’ davvero troppo pericoloso percorrere certe strade, se poi lo si fa di notte e a fari spenti il rischio diventa grandissimo.
Scorrendo l’elenco di incidenti capitati nell’ultimo anno, da quel mortale del 4 ottobre 2014, troviamo altri ciclisti travolti senza aver segnalato di sera la loro posizione. Come un indiano investito a Casalbellotto, o due ragazzi ghanesi a Roncadello, entrambi tamponati da un’auto che non li aveva visti. Ad inizio dicembre ci fu una tre giorni drammatica: oltre ai ghanesi citati, uno scontro tra un ciclomotore e una bicicletta e il ciclista 36enne in ospedale, una bici tamponata da un’auto in via Formis con donna 46enne al pronto soccorso, una donna di 76 anni travolta mentre oltrepassava in bici la strada per andare al cimitero (fuori dalle strisce pedonali) e un incidente mortale che costò la vita ad Annamaria Benasi, che uscendo dal Famila a Casalmaggiore per raggiungere la ciclabile è stata travolta da un’auto. Quest’ultima, al momento del sinistro, stava attraversando l’Asolana a piedi, reggendo con le mani il proprio velocipede, diretta dalla pista ciclabile verso la zona in cui esistono diversi esercizi commerciali (tra cui il supermercato Famila, appunto, ed una lavanderia). Nell’attraversare la strada, passava dinanzi ad un autoarticolato, che si trovava sulla corsia di marcia Brescia/Parma fermo in coda insieme ad altri veicoli a causa del semaforo con luce rossa e che improvvisamente riprendeva la corsa travolgendo il pedone.
Passando al 2015, a mostrare la difficile convivenza tra auto e bici provvede la dinamica dell’incidente in gennaio a Roncadello, quando un 22enne pakistano ha sorpassato un’auto che procedeva a bassa velocità ma che poi l’ha urtato facendolo andare all’ospedale. Un sinistro simile è accaduto in aprile sull’Asolana presso San Giovanni in Croce: un’auto aveva appena sorpassato una bici per poi fermarsi sul ciglio della strada: l’autista doveva fare pipì, il ciclista non ha saputo evitare l’auto ed è finito in gravi condizioni all’ospedale. Tre settimane dopo a Bozzolo moriva una bambina di 8 anni, Neda Pagliari. Era in bici con la mamma quando le due sono state investite da un’auto sulla Provinciale 10. Inutile il trasporto con l’elisoccorso a Bergamo: la bambina è morta dopo due operazioni fatte nella notte.
La colpa era del ciclista nel caso di via Adua a Casalmaggiore, dove un ragazzino di 14 anni viaggiava contromano sbattendo contro un’auto. Addirittura c’è lo strano caso di poche settimane fa a Calvatone, dove un bambino di 9 anni è finito all’ospedale con tibia e perone fratturate dopo lo scontro con una bicicletta condotta da un 14enne. Il tasso di incidenza per una piccola comunità come la nostra è ormai insopportabile. La rabbia e le lacrime del funerale celebrato ieri siano indirizzate a chi può finalmente fare qualcosa affinché tragedie così non si ripetano con tanta regolarità. Non diciamo “mai più”, purtroppo è utopia, ma cerchiamo almeno di mettere qualche ostacolo in più sul percorso del destino.
Vanni Raineri
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