Cronaca

Anche i Sikh per
celebrare il 25 aprile
a Casalmaggiore

Nella foto, alcune immagini delle celebrazioni

CASALMAGGIORE – Prima partecipazione del sindaco Filippo Bongiovanni, eletto nel maggio scorso, alla cerimonia del 25 aprile, tenutasi sabato mattina a Casalmaggiore. Novità dell’edizione 2015, la presenza di una delegazione della popolazione Sikh casalese, con indosso il tipico turbante colorato, sia in chiesa per la Santa Messa che sotto il portico del palazzo municipale dove si sono tenuti i discorsi ufficiali. Anche i Sikh hanno voluto ricordare gli 83 mila morti durante le due guerre mondiali e per l’indipendenza dagli Inglesi. Il primo cittadino casalese, dopo le note patriottiche suonate dalla banda dell’Estudiantina, in sintesi si è augurato che il 25 aprile possa assumere per tutti il senso della rinascita dalle tenebre dopo la difficile oppressione patita a causa dell’invasione nazista e dalla dittatura fascista.

Un dettagliato riassunto delle vicende storiche che hanno caratterizzato il periodo fascista, è stato riproposto a braccio dal noto presidente locale dell’Anpi Giuseppe Rossi, che ha attaccato ripetutamente lo scrittore e giornalista Giampaolo Pansa per i numerosi pezzi “falsificatori” della verità su come effettivamente andarono le cose in quel periodo. “La resistenza è cominciata l’8 settembre quando l’esercito si è disintegrato per diserzione e in montagna si andarono formando i primi nuclei organizzati. Il grosso cominciò a crescere nel 1943 dopo che Mussolini fondò la Repubblica di Salò”: ha ricordato Rossi, citando poi le grosse perdite subite a Cefalonia, a Roma e anche nella vicina Cremona.

E qui Rossi ha fortemente criticato il tentativo di mettere a confronto l’esercito fascista con la Resistenza che combatteva per la libertà: “Il signor Pansa certi episodi non li tocca dimenticando che gli stessi fascisti hanno ucciso le più belle figure del regime. Grazie al contributo della Resistenza siamo riusciti, noi partigiani, a promuovere un’attività di pace consegnando tutte le armi nel rispetto degli accordi e consentendo così dopo il 7 giugno la formazione di regolari forze di polizia”. A prendere la parola alla fine Paolo Ghirlandi, un giovane studente del Liceo di Casalmaggiore che all’interno di un profondo intervento si è detto anche dispiaciuto di come nelle conoscenze di tanti suoi coetanei regnasse l’oblio sulla questione della Resistenza. Questo il discorso integrale del giovane Ghirlandi.

Tristemente mi rendo conto di come nella mia generazione serpeggi l’oblio. In tantissimi non hanno la benché minima idea del perché il 25 aprile sia festa nazionale. Tra i molti “L’importante è che è festa” e le per fortuna rare perle del calibro di “Meglio che non ci liberavano così oggi c’era la Merkel e le cose andavano meglio” ho avuto un senso di colpa verso chi in tutta Europa si è reso conto che “Occorre vedere e non guardare in aria; occorre agire e non parlare” e per questo è stato condannato a morte. Ho letto, quasi con stupore, essendo abituato alla sterile narrazione dei libri di storia, le lettere di chi ha dato per un ideale dal quale sapeva di non poter trarre vantaggio la vita, ma ha combattuto per noi generazioni future. Dobbiamo riuscire per un attimo ad immedesimarci in un condannato. Un ragazzo che abbia su per giù la mia età. 19 anni, italiano, studente, magari non schierato politicamente, semplicemente italiano e fiero di esserlo.

Buio impenetrabile, forte odore di muffa, aria pesante, cento e forse più respiri anonimi di prigionieri anonimi. Uomini e donne a cui è stato negato tutto, dall’aria alla luce del sole. Destinati al plotone d’esecuzione, morti che camminano, carne da macello. Nel buio si sente un disperato grattare: memorie, testamenti, ultime volontà, eredità consegnate alle pareti delle celle, a chi, come me, in un futuro dovrà sapere che cosa vuol dire non essere libero. Il fetore del sudore, del sangue che sgorga dalle unghie consumate per incidere. L’odore salmastro delle ultime lacrime. Morire, forse essere dimenticati, con il sorriso sulla faccia, sapendo che anche inconsapevolmente, in un futuro indefinito qualcuno dirà “libertà” e tra quelle sette lettere, in piccolo, sarà scritto anche il tuo nome e quello di chi ha sofferto come te. Partire verso il patibolo su quelle strade che oggi noi possiamo attraversare come e quando vogliamo.

Essere pronti, dopo aver sacrificato il caldo rifugio di una casa, l’abbraccio tenero dell’amata, la sicurezza di arrivare vivi al domani, torturati e spogliati di tutto, a sacrificare anche la propria vita per nient’altro che un’idea. Oggi noi ricordiamo grazie a chi e al prezzo di cosa possiamo ancora definirci italiani, grazie a chi siamo liberi i pensare, di scrivere, di manifestare, di essere o non essere d’accordo, di credere o non credere, obbedire o non obbedire, vivere come riteniamo opportuno nel rispetto degli altri. Dobbiamo ricordare cosa ha passato chi ci ha donato l libertà, perché se dimentichiamo il valore della libertà potremmo dover essere noi, un giorno, a trovarci a dover combattere per riaverla.

Rosario Pisani

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