Cronaca

“Quel Kosher? Lo conosco
bene. Abbiamo chiesto
agli ebrei di non cantare”

Nella foto la polizia sul luogo dell’attentato a Charlie Hebdo

PARIGI – “Quel Kosher? Ci sarò passata davanti un migliaio di volte. All’inizio della mia esperienza parigina abitavo proprio in quella zona e spesso sono stata al liceo che dista poche centinaia di metri dal supermercato. La stessa distanza che, a Casalmaggiore, corre dal Conad alla stazione dei treni”. Gina Del Giudice, casalese doc ha festeggiato i suoi 40 anni di permanenza a Parigi nel modo peggiore: vivendo da dentro, anche se tutto sommato da lontano, trattandosi di una metropoli, le 50 ore che hanno tenuto il mondo intero col fiato sospeso. Ha osservato spesso e volentieri da un televisore, come tutti del resto, la diretta prima sull’attentato al Charlie Hebdo, mercoledì, poi sul doppio blitz che, provocando nuova morte, ha se non altro fermato tre dei quattro attentatori nella giornata di venerdì. E dire che la signora Del Giudice soltanto martedì, dopo avere festeggiato l’Epifania a Casalmaggiore, è rientrata nella capitale francese, poche ore prima del caos.

“Parigi venerdì mattina era addormentata, ma sarebbe meglio dire paralizzata” racconta Del Giudice “. Me ne sono resa conto quando, io che abito vicino all’Arco di Trionfo, percorrendo Avenue de la Grande Armèe, una strada a quattro corsie, di fatto la prosecuzione degli Champs Elysées, ho impiegato molto meno tempo del solito. Non ho visto troppa sicurezza in quella zona, ma la gente, a mio avviso, è rimasta a casa per paura. Il clima era pesante e questo si avvertiva, si percepiva nell’aria”. Gina Del Giudice racconta e spiega: avverte in tempo reale, nel tempo di una telefonata, delle novità che la tv francese offre passo passo nella lunghissima diretta. E dimostra di essere intrisa di cultura oltralpe fino al midollo, provando a capire, a rivelare dettagli dei quali i grandi media non potranno parlare.

“Venerdì mattina, Amedy Coulibaly, l’attentatore che ha sparato alla poliziotta poche ore prima e che non sembrava collegato agli attacchi dei fratelli Kouachi” rivela “era stato avvistato proprio vicino all’Arco di Trionfo, di fatto a pochi passi da casa mia. Non sapremo mai se sia stato un falso allarme oppure no. Fatto sta che ce lo siamo ritrovati, come tutti avete visto, al capolinea della linea 1 della metropolitana, la più importante, asserragliato in un Kosher a Porte des Vincennes. Pare abbia subito ucciso, appena dentro, un ostaggio. E poi anche gli altri tre trovati morti: non ha scelto il venerdì per caso. E’ il giorno di preparazione alla shabbat per gli ebrei, in un quartiere ad alta densità ebraica. Tutti i Kosher sono stati subito chiusi, dopo che si è saputo del primo attacco a Porte des Vincennes”.

A pochi passi da lì c’è un liceo. “Una scuola con 3mila studenti, che ho avuto modo di frequentare (Gina Del Giudice insegna italiano presso un distaccamento dell’Università a Nord di Parigi, ndr) e che a mio avviso doveva essere chiusa per precauzione: dentro c’erano ragazzi ma anche bambini, perché il sistema scolastico francese è differente dal nostro e riunisce le età più svariate in queste strutture scolastiche. E’ stato riferito agli stessi studenti che forse avrebbero dovuto pernottare proprio a scuola: e così sarebbe accaduto se la situazione non si fosse risolta, a metà pomeriggio, col blitz delle teste di cuoio”.

Venerdì, gioco di preparazione alla shabbat, come detto. Tanto che nel condominio dove Gina vive a Parigi, qualcuno ha intonato canti religiosi per la ricorrenza. “Alcuni vicini hanno chiesto agli ebrei che vivono nel nostro palazzo di evitare” rivela Gina “non per mancanza di rispetto del culto e delle tradizioni, ma per una forma di prudenza, considerando quello che stava accadendo a Parigi. Di fatto, nel nostro piccolo, abbiamo anticipato quella che è stata poi la decisione della Grande Sinagoga di non celebrare, sabato, la shabbat, per la prima volta dalla Seconda Guerra Mondiale”.

Facendo un passo indietro, mercoledì durante l’attentato a Charlie Hebdo, Gina era appena uscita di casa. “Erano le 11.30 e non vi era ancora sentore di nulla: io tengo corsi e lezioni fuori Parigi, in una zona a Sud-Est, mentre Charlie Hebdo si trova a Nord-Ovest. Ho sempre la radio accesa come deterrente per i ladri, ma nessuna notizia era ancora uscita e anche la Metro si poteva prendere tranquillamente, tanto è vero che io vi sono salita. Mi aspettava all’arrivo un’amica che, angosciata, mi è venuta incontro. “E’ morto Charlie Hebdo” mi ha detto e non ho subito collegato. Ho pensato ad una persona, a un collega, poi piano piano i tasselli sono andati al loro posto: Charlie Hebdo era il giornale. Fino al primo pomeriggio il mio quartiere era molto tranquillo, poi piano piano siamo tutti rimasti sbalorditi dall’accaduto”.

A freddo il pensiero comune francese è divenuto un altro, studiato da Gina da osservatrice privilegiata. “I servizi segreti antiterrorismo hanno ammesso che vi è stato un atteggiamento di tolleranza e di lassismo forse eccessivo. Può darsi che sia per un senso di colpa considerato il passato colonialista, ma sono solo supposizioni. In tv si dice che molti maghrebini nati in Francia e associati ad Al Qaida erano già conosciuti e schedati, ma non si è fatto abbastanza, è stato spiegato. Peraltro nei campi di Al Qaida dello Yemen, dove è stato addestrato Coulibaly, vi è una percentuale altissima di francesi. Qui a Parigi dicono sempre che la paura non evita il pericolo: ecco perché il fatto di non agire per paura appare sbagliato o controproducente”. E intanto, come conferma Del Giudice, cresce il consenso per Marie Le Pen e il Front National, a due mesi dalle elezioni cantonali.

Nel mentre dalla tv di stato francese Al Qaida ha lanciato una nuova minaccia “per la precisione contro Londra, Berlino e Madrid” spiega Del Giudice, che aggiunge: “Non ho sentito parlare di Italia, ma il nuovo attacco sarà rivolto, hanno detto, contro la terra degli ebrei e delle croci, ossia l’Europa. Ora comunque l’ondata emotiva è troppo forte e tutto è poco chiaro: l’unico dettaglio sicuro dall’inizio è che i terroristi non si sarebbero mai fatti prendere vivi, perché per loro questo martirio, nella distorsione della loro interpretazione, significa Paradiso”.

Giovanni Gardani

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