Da Cividale scrive
al premier: “Pedagogisti
lavoratori di serie C”
Nella foto Benedetta Bertoli e Matteo Renzi
CIVIDALE (RIVAROLO MANTOVANO) – Vede un Paese, il suo, inteso come Italia, allo sbando; non ha un posto di lavoro e ha preso troppe porte in faccia per restare fiduciosa; ha senza dubbio molto coraggio e intraprendenza. Benedetta Bertoli, giovane classe 1985 di Cividale, frazione di Rivarolo Mantovano, ha provato come extrema ratio, a prendere carta e penna per scrivere nientemeno che al presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi. “Perché, dinnanzi a tutto quello che sta succedendo” dice “l’unica cosa che ci resta da fare è denunciare le cose che non funzionano”. E le “cose”, a giudicare dalla sua missiva, sono tante.
Il ramo scelto da Benedetta è quello dell’educazione: una laurea di Scienze dell’Educazione, una specializzazione acquisita in Pedagogia a Mantova. Ma ancora, nessun lavoro. La speranza di Benedetta è che la riforma approntata a livello scolastico e di terzo settore dal governo possa cambiare davvero qualcosa. Per questo ha scritto al Premier. “Scrivo con un senso di inquietudine personale” si legge “che da un pò di tempo ha spento la solarità che mi caratterizza da sempre. Dopo anni passati a studiare, vivo il disagio di non riuscire a trovare un lavoro che la stessa Costituzione menziona come diritto fondamentale. Vari sono gli ambiti sociali dove educatori e pedagogisti sono chiamati a operare ma di fatto questo non avviene perchè questi ruoli vengono spesso ricoperti da persone senza nessuna sensibilità o che non hanno nessun tipo di preparazione in ambito psico-pedagogico. La contatto per farmi portatrice della condizione di molti “laureati senza futuro” che come me ogni giorno si trovano ad inviare curricula senza che mai nessuno dia loro una risposta, a lavorare per poco e nulla, ad essere licenziati ogni qual volta qualcuno lo ritenga necessario”.
“Se ho deciso di rivolgermi a lei” prosegue la ragazza “è perché sento l’esigenza di confrontarmi (lei stesso qualche mese fa invitò a scrivere le proprie idee dovendo attuare la riforma del Terzo settore) con le istituzioni su questioni di fondamentale importanza. Ora è giunto il momento di agire senza esimersi dalle proprie responsabilità; credo che sia eticamente scorretto far pagare ai giovani anni di politiche sbagliate, cancellando ogni speranza per il futuro (in molti è palpabile l’esigenza di trovare un lavoro, e non solo per una realizzazione personale ma anche perchè il conseguimento di uno stipendio permette di creare e sostentare una famiglia)”.
Sin qui la parte più generale, poi Benedetta, per rendere meglio l’idea, racconta con minuzia di particolari la sua storia, perché possa servire da stimolo. “Attualmente sono educatrice di dopo-scuola (ringrazio le persone che mi hanno permesso di essere parte di questo progetto, rivelatosi particolamente formativo sul piano umano e professionale) ma 9 ore settimanali non mi permettono di vivere se non fosse per il sostegno della mia famiglia con cui vivo. Quando posso faccio volontariato in una scuola materna, momenti in cui sento di essere pienamente realizzata, perché in fondo è per questo che ho studiato, per occuparmi dell’educazione dei bambini (stare a casa dopo anni passati a studiare mi fa sentire inutile). Colpita profondamente da questa esperienza, in me è sorto il desiderio di diventare maestra d’infanzia. Il mondo però mi è crollato addosso quando Sindacati e Provveditorato mi hanno spiegato che le lauree da me conseguite non sono riconosciute per operare nelle scuole statali e il percorso che abilita all’insegnamento e lungo e tortuoso; si tratta di frequentare quasi interamente Scienze della Formazione primaria. Personalmente penso sia assurdo che ragazzi con una laurea in pedagogia (riflessione sull’educazione) non possano operare nella scuola materna, iscrivendosi se non altro in 3° fascia. Alla base base di questa discriminazione, che vede ancora il pedagogista un lavoratore di serie C, bisognerebbe rivedere la normativa che esclude gli esperti di educazione da questo ambito professionale”.
Benedetta riporta poi all’attenzione del premier un caso “locale” che fece molto scalpore. “In questi mesi ho avuto modo di confrontarmi con la signora Katia Lodi Rizzini, la mamma di Sabbioneta che ha denunciato la carenza di insegnanti di sostegno nelle nostre scuole. Quanto da lei scritto ha avuto molta risonanza a livello provinciale ma non nazionale, come invece avrebbe dovuto essere; personalmente ho apprezzato il suo coraggio e in lei mi sono rivista dato che il nostro disagio non è molto diverso: mentre tanti bambini vengono privati di un diritto che gli spetta, molti giovani pedagogisti sono casa senza un lavoro, quando invece potrebbero essere utili in un conteso scolastico. Il laureato in pedagogia dovrebbe operare nelle scuole, nei servizi per minori, nell’extra-scolastico ma intorno a questo ruolo c’è ancora molta diffidenza. A livello legislativo si è cercato di valorizzare e dare dignità alla figura del pedagogista ma di fatto questa professione non ha ancora trovato lo spazio e il rilievo che merita. Inoltre è triste appurare come educatori e pedagogisti vengano automaticamente esclusi da ogni concorso pubblico e dagli ambiti lavorativi che gli spetterebbero per diritto”.
Da qui il riferimento alla politica e alle decisione che saranno prese a breve. “In Italia il dibattito sull’importanza dell’educazione e dell’istruzione è molto acceso e il tema della disoccupazione occupa intere testate giornalistiche. Allora perchè la politica non cerca di attuare quelle riforme che potrebbero favorire l’occupazione di molti ragazzi che, alla soglia dei 30 anni, si ritrovano ancora a vivere con mamma e papà senza nessuna prospettiva futura? Negli ultimi giorni si parla di cambiamenti che riguardano la pubblica istruzione ma vorrei sperare che il Governo abbia vedute più ampie perché nel nostro paese andrebbe riformato tutto l’ambito dei servizi educativi per minori e non solo. Penso ad un maggior riconoscimento a livello legislativo del ruolo del Pedagogista e dell’educatore, limitando alcuni ambiti lavorativi a queste professioni (nidi, micro-nidi, strutture per minori, diversamenta abili e perchè no le scuole materne). Perché la politica non si impegna ad evitare sprechi inutili per rinvestire le risorse in attività socio-educative (penso ai dopo-scuola stessi che incrementerebbero l’occupazione)? Come mai le istituzioni non pongono le condizioni per non essere “bamboccioni”, “sfigati”, “schizzinosi”, come spesso veniamo definiti, da quella politica incapace di tutelare giovani, anziani, deboli, malati. Amo i bambini e mi piacerebbe poter lavorare con loro ma per poterlo fare ho bisogno che qualcuno si prenda a cuore questi problemi”.
Giovanni Gardani
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