Morte di Umberto
Chiarini, in aula il figlio
‘Mio padre? Paladino dell’ambiente’
“Mio padre era un paladino dell’ambiente, impegnato per la pace e attivo in ambito culturale e civile”. Così oggi in aula davanti al giudice Pierpaolo Beluzzi ha parlato Damiano Chiarini, figlio di Umberto Chiarini, 66 anni, noto ambientalista, stroncato da un infarto il 16 giugno del 2011. Per la sua morte, il medico del pronto soccorso dell’ospedale Oglio Po di Casalmaggiore Mimo Mantovani, difeso dall’avvocato Gian Pietro Gennari, e il cardiologo Mario Luigi Parrinello, assistito dall’avvocato Diego Munafò, sono a processo con l’accusa di omicidio colposo. Il 13 giugno 2011 Chiarini si era presentato al pronto soccorso lamentando un dolore retro sternale. Al termine della visita il 66enne era uscito dall’ospedale con la diagnosi di “dolore toracico in paziente affetto da gastrite”. Nei giorni successivi erano comparsi dolore toracico e febbre, fino al 16 giugno, quando, dopo una visita presso il proprio medico curante, alla sera era sopraggiunto l’infarto che lo aveva ucciso. Secondo i consulenti della procura, il quadro clinico del 13 giugno “era orientativo di un infarto in atto”. Per gli esperti, “una procedura terapeutica idonea avrebbe potuto, con elevata probabilità, modificare in modo significativo l’evoluzione clinica”. Nel procedimento, la famiglia di Umberto Chiarini si è costituita parte civile attraverso l’avvocato Paolo Antonini.
E’ stato proprio il figlio Damiano a ricordare quanto suo padre fosse “amato e conosciuto sul territorio, parte viva nel cuore di tantissima gente”. Damiano ha raccontato del pomeriggio del 13 giugno, quando suo padre era tornato a casa dall’ospedale.”Non stava bene e si è messo a letto”. “Quella sera”, ha ricordato Damiano, “si festeggiava la vittoria del referendum antinucleare per la difesa dell’acqua pubblica, un’iniziativa che mio padre aveva tanto sostenuto. A casa erano arrivate telefonate di chi voleva complimentarsi, così Umberto è andato in piazza per dire due parole sull’esito del referendum, ma non stava bene. Ricordo che ha preso una camomilla e che a fine serata mia madre lo ha accompagnato a casa”. “Mio padre”, ha ricordato Damiano, che in aula ha fatto vedere l’ultima foto di Umberto Chiarini scattata quella sera in piazza, “faceva controlli periodici, aveva fumato da giovane, ma ora non aveva vizi. Prendeva solo qualche pastiglia per l’ipertensione”.
Secondo i consulenti di parte civile, la responsabilità dei due imputati sarebbe concorrente, in quanto, vista la presenza del valore della troponina, che è il marcatore dell’alterazione coronarica, il paziente non avrebbe dovuto essere dimesso. Per gli esperti, gli esami del sangue e l’elettrocardiogramma avrebbero dovuto essere ripetuti almeno per sei ore.
Dai dati dell’elettrocardiogramma, però, per i consulenti della difesa Parrinello, non sembravano essere in corso alterazioni cardiache, mentre Mantovani, che aveva a disposizione gli esami della troponina, avrebbe dovuto accorgersi dello sforamento dei valori, e quindi non avrebbe dovuto dimettere il paziente. L’avvocato Munafò ha evidenziato che “Mantovani aveva prescritto gli esami, e intanto aveva mandato il paziente in Cardiologia. Parrinello lo aveva visitato, fatto un eco, e poichè gli esami non erano pronti, prima di rimandarlo al pronto soccorso gli aveva detto di non aver visto segni di infarto in atto, aggiungendo di attendere le analisi”. Chiarini era tornato al pronto soccorso alle 13,14. Gli esami degli enzimi, indicanti alterazioni, erano stati refertati alle 13,57. Mantovani aveva mandato a casa Chiarini e aveva avvisato il cardiologo che non aveva visto le analisi.
Per i consulenti della difesa di Mimo Mantovani, invece, gli esami non sarebbero stati univoci. Nella scorsa udienza era stato sottolineato che possono esistere altre concause che provocano un innalzamento dei valori, cosa che non è sempre riconducibile ad un infarto. Mantovani aveva chiesto a Chiarini di fermarsi in ospedale, ma non aveva trovato il consenso del paziente.
Oggi in aula sono state sentite le testimonianze di cardiologi e di medici del pronto soccorso che hanno parlato dell’importanza dello scambio di informazioni tra il pronto soccorso e il medico specialista, e delle valutazioni di tutti gli esami effettuati da entrambe le parti, compresi gli accertamenti in corso, per poter arrivare ad una diagnosi completa.
La sentenza è attesa per il prossimo 9 giugno.
Sara Pizzorni
© RIPRODUZIONE RISERVATA