Motta Baluffi capitale
del Grande Fiume col centro
di monitoraggio del Po
Nella foto Vitaliano Daolio all’interno dell’Acquario del Po di Motta Baluffi
MOTTA BALUFFI – Motta Baluffi non sarà forse il centro del mondo, ma di sicuro è il centro del Po. Non è questione di campanilismo, ma di semplice geografia, o se preferite di matematica. Chilometro più chilometro meno, il comune casalasco si trova infatti all’incirca a metà strada del corso del fiume più grande d’Italia, nel suo viaggio dal Monviso fino al Delta. Per questo motivo Vitaliano Daolio, che per tutti è l’uomo del Po oltre che il gestore dell’Acquario, pezzo unico a livello di flora e fauna del Grande Fiume, ha pensato e proposto di installare proprio a Motta rilevatori e congegni che consentano di misurare lo stato di salute del Po, per fare un favore all’ambiente e soprattutto a tutti coloro che il Po lo vivono e che direttamente o indirettamente hanno a che fare con esso. Durante il recente convegno di Boretto, Daolio ha ricevuto già qualche adesione, anche se per il momento l’idea è ancora “in fieri”: “Da Ferrara ci sono molti pescatori ed esperti del Grande Fiume che vogliono partecipare – spiega Daolio – anche perché nel ferrarese i problemi che noi costantemente viviamo nel Casalasco o nella zona cremonese sono amplificati”.
Daolio fa riferimento in particolare al fenomeno dei “predoni del Po”. Anche per contrastare questo fenomeno sorgerà a breve l’associazione “Un altro Po”, che raggruppa volontariato e associazionismo sotto forma di un unico comitato, un ente giuridico riconosciuto. E questa è solo la base di partenza, che possa unire sicurezza, tutela ambientale e anche turismo. “Abbiamo una risorsa turistica enorme e non la sfruttiamo” racconta Daolio, originario di Novellara e alla lontana parente del grande Augusto, compianto leader dei Nomadi “abbiamo strutture costruite e abbandonate e se stesse, come l’attracco di Motta, costruito tra mille errore, irraggiungibile non appena il Po fa una piena. Penso anche alle motovedetta, smantellate dallo Stato per un problema di tagli: così negli ultimi cinque anni i predoni sono arrivati, mettendo insieme 200 furti all’anno tra Mantova e Cremona e quasi 4mila su tutta l’asta del Po. Un danno enorme, anche perché i motori a quattro tempi che qui costano migliaia di euro, una volta rubati, vengono rivenduti a 400 euro: chi glielo fa fare a chi ama viaggiare in barca di comprare il motore a prezzo pieno, quando può rivolgersi al mercato nero?”. Quelli di Daolio sono esempi per fare comprendere, in senso generale, che “in una cattiva gestione non può partire nulla: in ginocchio c’è il turismo nautico, tanto più che le assicurazioni non assicurano più nemmeno i motori, perché hanno capito l’antifona, ci sono le società canottieri, c’è il turismo dei pescatori e penso ai circoli di Carp Fishing. Solo in questo settore è possibile noleggiare un’imbarcazione a 1200 euro la settimana: capite bene che sono soldi freschi, introiti possibili grazie a questo tipo di turismo, che esiste ma va normalizzato. Non basta uno sceriffo: serve un sistema, una rete di prevenzione”.
Che riguarda da vicino, come detto, anche l’ambiente. “Il Po sta migliorando e non c’è bisogno necessariamente della tecnologia per saperlo: l’alborella è un segnalatore naturale ed è tornato a popolare il fiume, cosa che non accadeva durante i picchi di inquinamento massimo. Ma come Acquario del Po stiamo cercando di coinvolgere anche le scuole e riceviamo richieste: questo non è mai accaduto. Sono segnali positivi che però dobbiamo sapere cogliere, perché certi treni passano e non ritornano. Stiamo proponendo corsi per guide di pesca che al momento non esistono o anche per guide naturalistiche”. Ma serve un organo comune. “Il Po, solo nel suo tratto iniziale, incontra due Regioni e quattro Province che hanno statuti e leggi diverse: basta passare un confine immaginario e tutto cambia. Ecco, il Po deve essere sentito come una risorsa interregionale che, come tale, deve essere regolata in via univoca. E serve un maggiore controllo: in Italia la presenza di un presidio di Stato sul Po si trova ogni 100 km, nei fiumi o torrenti austriaci ogni 30 km, per rendere l’idea. La bozza del centro monitoraggio nasce da questa esigenza, anche se la finalità è più che altro ambientale: ma una volta che si prepara un progetto, è logico che tutte queste problematiche vengano analizzate insieme”.
Intanto a lavorare sul suddetto progetto è il Politecnico di Milano. “Gli incartamenti ci sono, sono fermi in qualche cassetto, ma per fortuna il Politecnico si è fatto carico di riprenderli in mano. L’idea è di capire e far capire come funzionano i depuratori, ad esempio, oppure programmare laboratori professionali che possano sensibilizzare anche i giovani, o ancora monitorare le acque perché arrivino alle richieste caratteristiche di balneabilità. Non lo chiede l’Acquario del Po di Motta, ma l’Unione Europea e se non ci adeguiamo entro il 2020, poi scattano sanzioni pesanti. L’inquinamento è minore, ma sono anche meno le aziende a causa di molti fallimenti, dunque non possiamo sentirci la partita già in tasca”. Facciamo chiarezza: il centro di monitoraggio riguarda l’ambiente o il problema sicurezza? “Il nascituro centro è a vocazione ambientale e basta. Però da cosa nasce cosa. Se a livello particolare l’intenzione è di lavorare per tenere d’occhio l’inquinamento del Po, dal punto di vista generale è comunque un passaggio in più. Il concetto che deve passare è che se facciamo rete, i 10mila occhi sul Po che già esistono possono moltiplicarsi ma soprattutto possono essere più efficienti, perché meglio coordinati. E su questi concetti devono intervenire anche i comuni, gli enti locali, non soltanto lo Stato o soggetti, per così dire, tecnici, come il Politecnico. Dev’essere un interesse generale portato avanti da più attori, che dimostrino coi fatti, e con finanziamenti adeguati, di tenere davvero al Po. Altrimenti anche la Carta del Po di recente firmata rischia di essere un atto vacuo e privo di incidenza reale”.
Giovanni Gardani
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