Don Alberto Franzini
difende le sentinelle
Ecco la sua riflessione
Nella foto il parroco di Casalmaggiore don Alberto Franzini
CASALMAGGIORE – Si esprime anche don Alberto Franzini, parroco di Santo Stefano e San Leonardo a Casalmaggiore, in merito alla manifestazione domenicale delle “Sentinelle in piedi” per la difesa della famiglia tradizionalmente (e cristianamente) intesa. Come noto, le “Sentinelle in piedi” si raduneranno dalle 17.30 di domenica in piazza Garibaldi, come in molte altre piazze italiane, mentre alle 11 le “Sentinelle Sedute” si ritroveranno per manifestare invece a favore dei diritti degli omosessuali. La riflessione di don Alberto, che qui pubblichiamo integralmente, è a disposizione dei fedeli presso le chiese di Santo Stefano e San Leonardo e può essere raccolta al termine della messa.
“L’Ufficio diocesano della Famiglia” si legge “auspica che la manifestazione silenziosa, promossa dalle “Sentinelle in piedi”, vada spiegata e sostenuta a partire dalle motivazioni che ne sono alla base. Tale manifestazione, che si sta tenendo e si terrà in diverse piazze d’Italia e che è strettamente legata ad altre simili iniziative organizzate in Francia e in altri Paesi europei, ha lo scopo anzitutto di difendere la libertà di civilmente dissentire da chi, in tema di matrimonio, famiglia, educazione dei figli, libertà educativa dei genitori, diversità di genere, vorrebbe imporre un pensiero e un modello unico, violando in tal modo quel diritto che tutti hanno di “manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”, che la nostra Costituzione garantisce all’art. 21. Un segno di intolleranza – che anche nel linguaggio ha superato i limiti di una legittima critica – è accaduto in questi giorni nei confronti di un recente intervento del card. Bagnasco, presidente dei vescovi italiani, aspramente criticato non tanto sul merito delle questioni in gioco, ma sul metodo usato: il card. Bagnasco avrebbe violato la laicità dello Stato, sconfinando in temi che non sarebbero di pertinenza della Chiesa, ma dello Stato.
A parte il fatto che anche i cattolici – vescovi compresi – sono cittadini italiani, e dunque del tutto legittimati ad esprimere liberamente il proprio pensiero, ribadiamo il principio, anche questo fondato nella nostra Costituzione (cfr. art. 30: “È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio”) e ribadito dal Concilio Vaticano II (cfr. Gravissimum Educationis, n. 3: “I genitori, poiché han trasmesso la vita ai figli, hanno l’obbligo gravissimo di educare la prole: vanno pertanto considerati come i primi e i principali educatori di essa) che il primato nell’educazione dei figli non spetta né allo Stato, né alla Chiesa, né a circoli di esperti, né a salotti mediatici, bensì ai genitori, i quali possono ricorrere ad altri soggetti che li aiutino nell’educazione dei figli: soggetti non imposti da nessuno, ma liberamente scelti dai genitori in base alle loro convinzioni culturali, etiche e religiose. Questo principio è ribadito anche da tutte le Carte internazionali ed europee, in quanto principio fondato sulla legge naturale, che assegna ai genitori, ossia a coloro che hanno trasmesso la vita ai loro figli, il compito educativo.
Non possiamo tacere, ad esempio, che nei tre opuscoli dal titolo “Educare alla diversità” e che stavano per essere distribuiti nelle scuole italiane (elementari, medie e superiori), la famiglia composta da un uomo, una donna e i loro figli, possa essere descritta come “uno stereotipo da pubblicità”.
Come cittadini e come cattolici riconosciamo la ricchezza insostituibile della differenza sessuale e la specificità assoluta della famiglia come “unione stabile dell’uomo e della donna nel matrimonio. Essa nasce dal loro amore (…), dal riconoscimento e dall’accettazione della bontà della differenza sessuale per cui i coniugi possono unirsi in una sola carne e sono capaci di generare una nuova vita” (Papa Francesco, Lumen fidei, n. 52). Per queste motivazioni, crediamo significativa e doverosa una pubblica manifestazione, affinché venga garantita la libertà di espressione e si possa, su questi temi, ragionare in modo argomentativo, e non ideologico”.
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