Politica

Chiesa e Politica,
tre (s)punti dal parroco
don Alberto Franzini

Nella foto il Duomo di Casalmaggiore

CASALMAGGIORE – E’ comparsa nelle ultime ore sul sito della Diocesi di Cremona una lunga riflessione, destinata a fare parlare e suscitare interesse, da parte del parroco di Casalmaggiore don Alberto Franzini. Riguarda l’intreccio tra Chiesa e politica e in particolare spiega perché, a detta del parroco casalese, il cristiano non debba disinteressarsi della vita politica attiva anche in un comune. Un passaggio più che mai attuale considerando che a Casalmaggiore, a maggio 2014, si terranno le elezioni per il rinnovo del consiglio comunale. Riportiamo di seguito il lungo documento di don Alberto Franzini, senza tagli, onde evitare di rischiare di distorcerne il significato:

“È un’obiezione, o una domanda, che ricorre spesso oggi nel pubblico dibattito, anche nel nostro territorio: perché mai la Chiesa si interessa di politica? E su quali basi può legittimare i suoi interventi in campo sociale e politico? Non è forse altro il suo compito?

1 – Diritto costituzionale

Pressoché tutte le moderne Costituzioni democratiche  riconoscono ad ogni cittadino e ad ogni gruppo presente sul territorio il diritto alla libertà di parola e di espressione. Anche la nostra, all’articolo 21, afferma che «tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione». Questo diritto viene riconosciuto anche alle stesse aggregazioni religiose (a qualunque religione appartengano) come recita l’articolo 19 «Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume». Dunque i cristiani sono cittadini, al pari di tutti gli altri. E hanno il diritto e il dovere, come tutti gli altri, di manifestare liberamente il proprio pensiero e di testimoniarlo con la  loro vita, individuale e comunitaria.

 

Il tentativo di delegittimare la comunità dei cristiani in quanto tale ad esprimere e a diffondere pubblicamente la visione della vita che deriva direttamente dalla propria fede religiosa nasconde in realtà una concezione intollerante verso chi ha un pensiero diverso dal proprio – nonostante il richiamo, oggi ossessivamente conclamato, al principio di non discriminazione – e rivela una concezione laicistica della laicità.

Il laicismo è un’ideologia che per principio esclude la rilevanza pubblica della religione e, tutt’al più, la tollera sul piano privato e dentro il perimetro dello spazio cultuale. La laicità, invece, accoglie, rispetta e crea le condizioni di libertà affinchè ogni cultura, etica e religiosa, possa legittimamente esprimersi nell’ambito della vita sociale. Il laicismo è discriminante, la laicità no.

Oggi si insiste, e opportunamente, sulla laicità dello Stato. Ma che cosa significa laicità dello Stato? Significa che lo Stato moderno non può essere “confessionale” in nessun senso: non in senso religioso (per esempio cristiano, o musulmano, o ebreo…); ma neppure in direzione ateo-marxista; e nemmeno in senso laicistico, se per laicismo si intende una particolare visione dell’uomo e del mondo di ispirazione immanentistica e illuministica, che nega i valori della trascendenza o li confina nell’intimità della coscienza.

 

Allo Stato si deve chiedere, negativamente, che non faccia sua nessuna particolare ideologia, che non imponga dogmi di nessuna cultura, che non si identifichi con nessun partito e con nessuna religione. Altrimenti, molti cittadini, a motivo della loro particolare scelta religiosa o ideologica o partitica sarebbero costretti a sentirsi stranieri nella propria patria. E, positivamente, allo Stato si deve chiedere che riconosca e assicuri ai singoli cittadini e ai gruppi: la libertà di esistere nella propria identità culturale e religiosa; la possibilità di far esperienza di vita associata in coerenza con il proprio credo culturale e religioso; la libertà di proporre agli altri le proprie convinzioni; la libertà di educare  secondo i propri principi;  la libertà di fare esperienze di vita associata in coerenza alla propria fede e alla propria tradizione, sempre nell’ambito del bene comune e nel rispetto della libertà altrui.

2 – In difesa dell’uomo

La Chiesa, quando interviene nel pubblico dibattito su questioni sociali e politiche non è guidata né dal confessionalismo, né dal proselitismo, né dall’intolleranza religiosa. Ossia la Chiesa non ha alcuna pretesa di proporre e tanto meno di imporre la propria specifica dottrina religiosa, che le deriva dalle fonti della rivelazione ebraico-cristiana.

La distinzione fra sfera religiosa e sfera politica – che si radica nel detto evangelico di Gesù: “Date a Cesare ciò che è di Cesare e date a Dio ciò che è di Dio” – è preziosa per comprendere il ruolo della Chiesa e il ruolo dello Stato e dei pubblici poteri nella vita della città terrena. Il Concilio Vaticano II ha ribadito con chiarezza l’autonomia della sfera civile e politica dalla sfera religiosa ed ecclesiastica. Il che comporta che: né la Chiesa si deve intromettere negli affari specifici dello Stato, né lo Stato deve intromettersi negli atti specificamente religiosi, salvo esigenze fondate di ordine pubblico.

Ma, oltre alla sfera specificamente religiosa e alla sfera specificamente politica, esiste una sfera morale a cui nessuno può sfuggire. Quando è in gioco l’essenza dell’ordine morale, che riguarda il bene integrale della persona umana, quando è in gioco, per usare un’espressione cara a Benedetto XVI, l’ecologia umana, allora la Chiesa – ma non solo la Chiesa!, bensì tutte le agenzie culturali ed educative presenti nella società – hanno il diritto e il dovere di intervenire, a tutela e a promozione della dignità della persona umana: perché la persona umana non appartiene primariamente né alla Chiesa, né allo Stato, bensì a Dio Creatore. La persona umana è dunque un bene indisponibile. Le esigenze etiche fondamentali dell’uomo precedono sia la Chiesa che lo Stato, come qualunque altra istituzione. Per questo motivo tali esigenze sono irrinunciabili e si impongono per se stesse, non ricevendo autorità da nessuno, ma esigendo di essere semplicemente riconosciute e tutelate da tutti, anche dallo Stato e dalla Chiesa.

Proprio per questo motivo esse non possono venire affidate alle logiche dei Parlamenti, che spesso legiferano – in questo caso in modo illegittimo, come spesso ha dichiarato Giovanni Paolo II – secondo il criterio numerico delle maggioranza e non secondo il criterio della verità, ossia della legge naturale, che deve precedere e fondare ogni legge positiva. Sotto questo aspetto, non sempre la legalità coincide con  la legittimità. L’aborto è legale: ma è anche legittimo? La guerra, quando è dichiarata dalla competente autorità, è legale: ma è sempre legittima? Gli Stati totalitari del secolo scorso sono nati con la cornice della legalità: ma erano legittimi?

Lo Stato è autonomo dalla Chiesa e da ogni altra religione, ma non è autonomo dall’ordine morale. Diversamente nasce – come la storia ha abbondantemente mostrato – lo Stato etico, ossia lo Stato che si crede proprietario dell’ordine morale, ritenendo di essere la fonte anche del bene e del male, del vero e del falso. E siamo così allo Stato totalitario.

Quando la Chiesa interviene nel campo sociale, lo fa ispirandosi non tanto ai contenuti specifici della fede cristiana, quanto all’antropologia fondamentale radicata nella ragione e nel diritto naturale e che certamente non è assente nelle fonti della rivelazione ebraico-cristiana.  Ed è su questa base – sul senso ragionevole della realtà – che la Chiesa ha la possibilità di instaurare un vero dialogo con altre forze culturali e con altre impostazioni di pensiero.

Ed è ancora su questa base che la Chiesa, da qualche tempo, vede nel relativismo etico, nel radicalismo individualista e nell’opinionismo oggi imperante e seducente – perché considerato una condizione irrinunciabile di ogni autentica democrazia – un vero pericolo per la democrazia stessa, che non può reggersi sulle sabbie mobili delle opinioni – continuamente cangianti a seconda delle mode culturali, delle maggioranze politiche e degli interessi di parte –  in ciò che riguarda i valori etici fondamentali.

3 – Chiesa, realtà storica operante in un popolo ben visibile

La Chiesa, in quanto realtà storica, presente e operante in un popolo ben visibile, non può rinchiudere nell’intimità delle coscienze o nel perimetro delle sagrestie un messaggio, il Vangelo, che le è stato consegnato da Gesù Cristo come salvifico per tutti gli uomini e per tutti i popoli. Nessuno è obbligato ad accogliere forzatamente il Vangelo: ed è quanto ha ribadito, solennemente, il documento Dignitatis Humanae del Vaticano II. Ma la Chiesa è per sua natura missionaria, e dunque inviata a tutti gli uomini.

Talvolta, la presenza e gli insegnamenti della Chiesa possono dare fastidio, e quindi non essere né rispettati, né accolti, anzi talora sono osteggiati. La persecuzione, il rifiuto, la derisione, il martirio sono previsti come possibili, anzi accompagnano inevitabilmente la professione cristiana e il cammino storico della Chiesa, come Gesù più volte ribadisce nel Vangelo. Ma questa difficoltà non è un motivo sufficiente perché la Chiesa si ritiri a vita privata o annacqui le esigenze fondamentali del Vangelo, conformandolo ai desideri del mondo e ai diktat del potere di turno (politico o mediatico che sia).

Papa Francesco, ai nn. 182-183 della Evangelii Gaudium, partendo dall’affermazione che il compito dell’evangelizzazione esige una promozione integrale di ogni essere umano scrive: «Non si può più affermare che la religione deve limitarsi all’ambito privato e che esiste solo per preparare le anime per il cielo […]. Di conseguenza, nessuno può esigere da noi che releghiamo la religione alla segreta intimità delle persone, senza alcuna influenza sulla vita sociale e nazionale, senza preoccuparci per la salute delle istituzioni della società civile, senza esprimersi sugli avvenimenti  che interessano i cittadini. Chi oserebbe chiudere in un tempio e far tacere il messaggio di San Francesco d’Assisi e della beata Teresa di Calcutta? Essi non potrebbero accettarlo. Una fede autentica – che non è mai comoda e individualista – implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra».

La Chiesa non persegue nessun altro interesse nell’annunciare a tutti la “buona notizia” del Vangelo, se non di offrire ad ogni uomo la strada della autentica gioia, rischiarando e riproponendo – di fronte al terremoto antropologico in atto che muta radicalmente i “fondamentali” dell’umano (soprattutto sui temi del matrimonio, della famiglia, della vita e della morte) – quell’orizzonte originario che Dio ha donato all’umanità  nel suo progetto  creatore e che ha collocato nel cuore di ogni persona.

A ciascuna persona la libertà e la responsabilità di accogliere o rifiutare questo progetto divino. Senza alcun genere di sanzione terrena, se non il giudizio di Dio.

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