Al Regio “Pagliacci”
spiazza e non convince
a pieno la critica
Nella foto il saluto finale al pubblico (Foto Ricci)
PARMA – Alquanto singolare appare la scelta del Teatro Regio di Parma di aprire la stagione lirica 2014 accostando un titolo quale Pagliacci di Leoncavallo al pucciniano Gianni Schicchi, anziché alla tradizionale Cavalleria Rusticana di Mascagni; e tale opzione è riuscita un po’ difficile da accettare al pubblico locale, sorpreso da una decisione artistica così anticonvenzionale.
I due nuovi allestimenti, andati in scena alla vigilia della Festa patronale di Sant’Ilario e dedicati alla giornalista da poco scomparsa Elena Formica, hanno visto sul podio Francesco Ivan Ciampa, direttore di talento, ma discontinuo e non sempre in grado di controllare il peso sonoro dell’organico affidatogli, l’Orchestra Regionale dell’Emilia Romagna; soprattutto in Pagliacci, infatti, il maestro avellinese ha mostrato alcune difficoltà nel rendere il senso narrativo della vicenda, anche perché la compagine strumentale da lui diretta non ha brillato per freschezza ed espressività. I piani sonori richiesti dalla partitura sono emersi a stento e le pagine musicali non sono risultate contraddistinte da una significativa varietà coloristica.
Nella serata Nedda è Kristine Lewis, soprano statunitense dal bel timbro e indiscutibile presenza scenica, ma penalizzato da una pronuncia difficoltosa e dall’incapacità di far comprendere alcunché del testo. Il tenore Marcello Giordani, Canio, pur dotato di una certa comunicativa e capacità attoriale, non è supportato da una voce smagliante e varia; manca di abbandono e squillo, soprattutto in tessitura alta, e pure l’atteso si naturale di «a ventitré ore» viene emesso a fatica. Il notissimo «Vesti la giubba» riesce comunque a strappare l’applauso del pubblico.
Tonio, Elia Fabbian, cerca di far emergere l’amaro rancore dello spasimante deforme rifiutato, mentre Davide Giusti, Peppe, si propone nella sua serenata con sufficiente vigore. Silvio, l’innamorato, è Marcello Rosiello che tenta di far emergere nel duetto con Nedda una sensualità che traspare a tratti. Il coro, preparato da Martino Faggiani, sa disimpegnarsi in maniera professionale e spicca nel notissimo e ben calibrato «Coro delle campane»; adeguata la compagine di voci bianche forgiata da Gabriella Corsaro.
La regia minimalista di Federico Grazzini è qui gradevole e non priva di idee interessanti, mentre non altrettanto condivisibile appare la lettura dello Schicchi, ridotto a un quadro caricaturale di una vicenda buffa sì, ma con accenti pure grotteschi e talora persino amari. Il cast annovera di nuovo Elia Fabbian (Gianni Schicchi), più nella parte rispetto al lavoro precedente, che, nonostante un problematico «Addio Firenze», riesce a rendere con una certa verve la figura dell’astuto protagonista giunto dal contado. Completano il cast Ekaterina Sadovnikova, una Lauretta che propone la notissima aria «O mio babbino caro» con sufficiente eleganza, Silvia Beltrami (Zita), Davide Giusti (Rinuccio), Matteo Mezzaro (Gherardo), Eleonora Contucci (Nella), Luca Faroldi (Gherardino), Gianluca Margheri (Betto di Signa), Matteo Ferrara (Simone), Marcello Rosiello (Marco), Romina Boscolo (La Ciesca), Stefano Rinaldi Miliani (Spinelloccio/Ser Amantio), Matteo Mazzoli (Pinellino): interpreti funzionali allo svolgimento della vicenda.
Applausi per tutti; alcuni dissensi per Giordani.
Paola Cirani
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