Giallo storico:
l’assassino di Pico della
Mirandola era casalese
L’assassino di Pico della Mirandola, grande filosofio del 1400, nome di spicco dell’Umanesimo fiorentino, e dunque italiano, molto probabilmente arrivava da Casalmaggiore. Anzi era un casalese doc, tanto da portare, come era usanza secoli fa, l’indicazione del paese di origine come cognome.
Cristoforo da Casalmaggiore era infatti il segretario personale di Pico della Mirandola, che però cedette alle lusinghe di Piero dè Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico, altro nome che non ha bisogno di presentazione, e rispettò la sua richiesta di agire come sicario. Ne è convinto Silvano Vinceti, autentico indagatore di misteri della storia dell’arte e della cultura italiana, noto, tra le varie ricerche, anche per quella sulla morte violenta di Caravaggio e per la sua volontà ferrea di ricercare le spoglie della modella della Gioconda di Leonardo da Vinci. Una sorta di Robert Langdon (l’investigatore dei best seller di Dan Brown) all’italiana, ma con una differenza: Vinceti nei suoi libri, frutto di ricerche meticolose, si avvale spesso anche della collaborazione dei Ris di Parma e delle scoperte frutto dei loro sofisticati strumenti.
Ebbene giovedì scorso Vinceti, durante una conferenza stampa a Firenze, ha mostrato gli esiti dell’indagine, durata quattro anni, legata alla morte di Pico della Mirandola, avvenuta in circostanze misteriose il 17 novembre 1494. Oltre alla morte di Pico, Vinceti indaga anche sull’assassinio di Agnolo Poliziano, altro grande umanista fiorentino, i cui resti sono stati riesumati nel 2007 proprio ai fini di questa indagine.
Il Comitato per la valorizzazione dei beni culturali, che ha in Vinceti il presidente, ha ritenuto molto sospetta la morte dei due intellettuali a due soli mesi di distanza l’uno dall’altro (Poliziano morì il 29 settembre 1494): i dottori di allora parlarono di intossicazione, ma Vinceti è convinto che si sia trattato di avvelenamento da arsenico, ritrovato nelle spoglie dei due uomini in misura da 50 a 100 volte superiore a quella tollerata dall’organismo.
Perché dunque Piero dè Medici arrivò ad odiare a tal punto Pico e Poliziano da ucciderli? Secondo la tesi di Vinceti, che si ritrova anche in un diario di un cronista dell’epoca, sin qui mai preso in considerazione, tal Marino Sanuto, si presume che Piero odiasse in particolare Savonarola che all’epoca reggeva il governo fiorentino, insidiato dallo stesso dè Medici. Pico e Poliziano avevano perorato la causa del Savonarola, che in seguito cacciò Piero da Firenze. L’odio però crebbe anche a causa della buona considerazione nella quale il padre di Piero, Lorenzo il Magnifico, da buon umanista, teneva i due intellettuali.
Detto che il duplice delitto potrebbe avere avuto altri mandanti (Vinceti parla di Papa Alessandro VI, Rodrigo Borgia, che combatteva il “costume” di Savonarola, e del filosofo e astrologo Marsilio Ficino, accusato di stregoneria e negromanzia da Pico e Poliziano), la figura del casalese Cristoforo viene messa in (cattiva) luce proprio dal diario sopraccitato di Marino Sanuto, che spiega come Cristoforo da Casalmaggiore, interrogato, tra le varie ammissioni confessò di avere affrettato la morte del suo padrone avvelenandolo. Vinceti sostiene che Cristoforo godeva di un cospicuo lascito nel testamento di Pico, al quale era dunque legato, specificando però che anche il legame a Piero dè Medici, papista e antisavonaroliano, era altrettanto forte.
Per Casalmaggiore un mistero che emerge dal passato e un’inchiesta che, vista tramite il canocchiale del tempo, fa quasi sorridere. Di certo, un concittadino illustre del quale tornare a parlare (anzi, del quale parlare per la prima volta): anche se la sua fama non è certo la migliore possibile…
Giovanni Gardani
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