Nassiriya, dieci anni
dopo. Viadana ricorda
Filippo Merlino
Sono passati dieci anni: dieci anni esatti da quando, il 12 novembre 2003, alle ore 10.40 irachene, le 8.40 in Italia, un camion cisterna pieno di espolsivo scoppiò davanti la base MSU (Multinational Specialized Unit) italiana dei Carabinieri, provocando l’esplosione del deposito munizioni della base e la morte di diverse persone tra Carabinieri, militari e civili.
Morirono 28 persone, tra cui 19 italiani, tutti carabinieri o membri dell’esercito ad eccezione di Stefano Rolla, regista di uno sceneggiato che avrebbe dovuto documentare la ricostruzione di Nassiriya da parte dei soldati italiani, e il cooperatore internazionale Marco Beci.
E morì anche il sottotenente Filippo Merlino, che a Viadana in quegli anni operava e che proprio a Viadana è ora sepolto. A Brescello, poco più tardi di un mese fa, gli hanno anche intitolato la locale caserma. La moglie e il figlio di Merlino, dieci anni dopo la tragedia, saranno a Roma a commemorare Filippo nella cerimonia nazionale che ricorderà anche tutti gli altri italiani morti nell’attentato. A Viadana, invece, alle ore 16 presso il cimitero locale ci saranno la madre del sottotenente e alcuni parenti, oltre alle autorità di Viadana e all’Arma dei carabinieri locale e provinciale, con il capitano Antonino Chiofalo che poserà una corona di fiori proprio sulla lapide di Merlino.
Chiofalo, peraltro, ha conosciuto Merlino di persona, avendo condiviso con lui una missione in Kosovo nel 2000. “All’epoca ero maresciallo e, pur avendo compiti e incarichi diversi, restammo in missione nello stesso posto da gennaio a novembre 2000” racconta Chiofalo “. Quando sono arrivato a Viadana lo scorso settembre come capitano pensai subito a Merlino e a quanto era accaduto. Conobbi anche Horacio Majorana, pure lui morto a Nassiryia, perché facevo parte del VII Reggimento, uno di quelli più colpiti in Iraq. Le nostre strade si divisero quando alcuni di loro partirono appunto per quella terra, come fecero proprio Merlino e Majorana”.
Dov’era il 12 novembre di dieci anni fa? “Ero in Liguria, comandavo il nucleo operativo radiomobile di una locale stazione. La notizia arrivò in poco tempo e capii subito la gravità della situazione. Il punto è che noi carabinieri, in Iraq come in Kosovo – e qui parlo per esperienza diretta, non per sentito dire – avevamo scelto di stare in mezzo alla gente. Pagammo questa scelta e fummo colpiti con violenza e crudeltà”.
Il Reggimento MSU/IRAQ, infatti, composto da personale dei Carabinieri Italiani e dalla Polizia Militare Romena (a cui poi si aggiungeranno, a fine Novembre 2003 120 uomini della Guardia Nazionale Portoghese), era diviso su due postazioni: la base “Maestrale” e la “Libeccio”, entrambe poste al centro dell’abitato di Nasiriyya. Era intendimento dei Carabinieri, contrariamente alla scelta dell’Esercito di stabilirsi lontano per avere una maggiore cornice di sicurezza, posizionarsi nell’abitato per un maggior contatto con la popolazione. “Stavamo costruendo, come Arma” racconta Chiofalo “un sistema di relazioni e un contributo alla crescita del paese: il carabiniere, all’estero come in Italia, per vocazione vuole parlare alla popolazione e capire i problemi quotidiani, per dare una mano. Quando giunse la notizia, personalmente, fu un momento di sbandamento, ma lo fu per tutta l’Arma. Credo peraltro che chi ha affrontato le missioni all’estero senta in modo particolare queste tragedie. Dopo Nassiriya l’Arma ha dovuto rivedere alcuni piani, perché in quel posto non era possibile, a causa dell’alto rischio, portare una mano, come era nei nostri intendimenti iniziali”.
La notizia, dieci anni fa, si sparse rapidamente anche nel comprensorio Oglio Po. Si sapeva che un carabiniere di Viadana era là, a Nassiriya, e attorno alle 12 arrivò la triste conferma che, tra le 19 vittime, c’era anche Filippo Merlino. Un momento agghiacciante che spezzò la speranza, peraltro già flebile, sapendo che il sottotenente Merlino – “una bravissima persona, appassionata del suo lavoro e del suo territorio: amava davvero Viadana, da come ne parlava” racconta Chiofalo – era solito non tirarsi indietro. In prima linea c’era sempre. Anche quel maledetto 12 novembre di dieci anni fa.
Giovanni Gardani
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