Cronaca

La vita in Sierra Leone
del missionario saveriano
Padre Luigi Brioni

Nella foto, Padre Luigi Brioni in Sierra Leone 

Padre Luigi Brioni, originario di Villanova di Rivarolo del Re, 75 anni, di questi 52 passati in missione negli Stati Uniti, Gran Bretagna, Italia e soprattutto Sierra Leone, è tornato a Cremona e ha rilasciato un’intervista sulla sua esperienza africana, che riprenderà presto: “Dopo la guerra civile, è il tempo della pace”.

Lo zio di Padre Luigi, mons. Brioni, fu rettore in Seminario e abate di Casalmaggiore. “Lo seguii quando era parroco a Commessaggio – ricorda il saveriano – e anche quando gli affidarono lo responsabilità dei futuri sacerdoti: anch’io, infatti, covavo il desiderio di farmi prete”.

Negli anni Cinquanta nel grande stabile di via Milano 5 si respirava una bella aria missionaria, fitti erano i rapporti con i saveriani e con i comboniani cremonesi e ciò permetteva ai giovani chierici di coltivare uno sguardo realmente universale. “Alla fine della terza liceo siamo passati ai saveriani in tre: io, padre Sandro Parmiggiani e padre Carlo Lucini; più tardi si sono aggiunti padre Franco Fiori e padre Pierino Mori. Molti preti non hanno visto di buon occhio questa trasmigrazione, altri invece si sono rivelati molto entusiasti: in fondo quando si parte per la missione si va anche a nome della propria Chiesa di origine”.

I primi anni di sacerdozio padre Luigi li ha passati prima a Boston e poi a San Francisco a studiare l’inglese, poi nel 1968 fu trasferito in Sierra Leone dove ha svolto diversi incarichi: parroco, responsabile del Centro pastorale diocesano, superiore della comunità saveriana. “Dall’Africa sono partito negli anni Novanta per alcune altre esperienze in Gran Bretagna, America e anche in Italia a Vicenza. Solo nel 2002 sono tornato a Makeni, nel nord della Sierra Leone, dove, tra le altre cose, mi è stata affidata la direzione di Radio Maria, un incarico che ho appena lasciato”.

Oggi il piccolo paese africano affacciato sull’Atlantico è relativamente tranquillo, dopo tanti anni di guerra civile, pare che la transizione democratica si sia conclusa bene: “Abbiamo un presidente onesto che cerca il bene del popolo. In questi anni c’è stato anche un certo sviluppo economico e sociale: sono state scoperte delle miniere di ferro che offrono lavoro a tante persone. Certo c’è ancora tanto da fare: il 30% della popolazione, per esempio, non riesce a nutrirsi in maniera sufficiente e la mortalità infantile è ancora oltre il 10%”.

Il tempo di pace è arrivato dopo anni di una violenta guerra civile (dal 1991 al 2002) tra l’esercito governativo e i ribelli del Fronte Rivoluzionario Unito e che ha causato 50.000 morti. Come in buona parte dell’Africa negli scontri venivano utilizzati anche i bambini soldati: “Le nostre suore saveriane rapite dai ribelli raccontavano – continua padre Luigi – che le più feroci e le più obbedienti ai capi erano le ragazze. Purtroppo venivano pesantemente drogate e quindi non erano padrone di se stesse: non avevano nessuna paura di uccidere o di essere uccise”.

Oggi dei bambini soldato nessuno vuole parlare: è una ferita che fa ancora male. Al termine della guerra molti di loro non sono stati riaccolti dalle loro famiglie, altri sono stati segnati irrimediabilmente nella psiche, molte altri, invece, sono stati aiutati dalle organizzazione internazionali, soprattutto la Chiesa Cattolica, e si sono rifatti una vita.

Religiosamente la situazione è molto felice: “Noi missionari, al contrario dell’Italia, non abbiamo bisogno di dire che “Dio c’è”! La gente vive nella certezza della presenza e dell’azione del Signore. Le nostre liturgie sono vive e aderenti alla vita, al contrario di quelle in Italia che spesso trovo fredde e formali. Anche con i musulmani il rapporto è ottimo, a volte ci siamo addirittura ritrovati per pregare insieme”.

“Noi saveriani – prosegue il missionario – un tempo eravamo 45, ora siamo solo 18. Siamo stati noi a portare il Vangelo e a fondare la Chiesa a Makeni: ora la gente del posto comincia a camminare con le proprie gambe e noi ci ritiriamo gradatamente. Stanno nascendo anche tante vocazioni sacerdotali, per cui certi servizi diocesani che erano di nostra competenza li stiamo cedendo ai preti diocesani. Abbiamo lavorato tanto in Sierra Leone grazie anche alla presenza di vescovi saveriani di grande spessore come mons. Azzolini e mons. Biguzzi. Attualmente c’è un problema con il nuovo vescovo di Makeni: poichè appartiene alla tribù del sud, così come gli altri tre presuli della nazione, non è ben visto da quelli della tribù del nord. Il Papa ha scritto anche una lettera per chiedere di accogliere il nuovo pastore, ma purtroppo i legami tribali sono molto forti! D’altra parte questa è la cultura africana, di cui, per forza di cose, bisogna tenere conto”.

Insieme a padre Brioni in Sierra Leone c’è un altro cremonese, padre Vittorio Bongiovanni. “Abitiamo insieme nella casa dei saveriani e non nascondo che spesso parliamo in dialetto mantovano, utilizzando anche qualche termine poco conveniente e non certo ripetibile! Vittorio è parroco della comunità di San Guido Maria Conforti. Lui più di me ha visto e subito le atrocità della guerra civile, ma non ha mai arretrato di un passo”.

Padre Brioni che quando tornerà in Sierra Leone riceverà un nuovo incarico guarda con nostalgia la comunità saveriana cremonese che il prossimo 15 luglio sarà chiusa definitivamente: “Io non ho una abitazione di famiglia come gli altri missionari – conclude padre Brioni -, per cui ogni volta che torna in Italia alloggio in via Bonomelli: è un po’ la mia casa! Mi spiace moltissimo, ma mi rendo conto che è una scelta inevitabile: prima o poi andava presa! Credo che la Provvidenza troverà altre strade per l’animazione missionaria in terra cremonese”.


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