Quattordici medici
dell’Oglio Po a giudizio:
il racconto della paziente
E’ entrato nel vivo oggi, con la testimonianza della vittima, il processo per lesioni personali colpose nei confronti di quattordici medici dell’ospedale Oglio-Po di Vicomoscano. Secondo l’accusa, nel corso dell’intervento erano stati lesi entrambi gli ureteri, il sinistro a livello sottogiuntale e il destro in prossimità dell’imbocco della vescica in tre punti differenti, provocando alla paziente “lesioni personali gravi dalle quali è derivato un indebolimento permanente dell’apparato urinario”.
Prima che iniziasse l’udienza, la donna ha detto che sarebbe stata disposta a rimettere la querela, presentata solo nei confronti del chirurgo Mauro Melpignano, a fronte di un risarcimento di 50.000 euro. L’accordo, però, non si è concretizzato.
La paziente, una donna di 54 anni di Viadana, era stata ricoverata il 9 marzo del 2008 e operata il giorno successivo all’utero per un carcinoma con metastasi. Ad effettuare l’intervento era stato Melpignano, primario e primo chirurgo. “Dal terzo giorno”, ha raccontato la donna al giudice Pierpaolo Beluzzi, “il mio ventre ha iniziato a gonfiarsi, e anche la gamba sinistra”. “Nonostante ciò”, ha proseguito la 54enne, “Melpignano, che veniva a vedermi tutti i giorni, mi diceva che andata tutto bene”. “Ad un certo punto avevo il ventre come quello di una gestante all’ottavo mese e dolori persistenti”, ha ricordato la signora, costretta a fermarsi perché sopraffatta in aula da momenti di commozione. “E’ stato mio marito a decidere di farmi andare in un altro ospedale. Siamo andati a Mantova nel reparto di Nefrologia dove nove giorni dopo il primo intervento sono stata rioperata. All’Oglio Po mi avevano dato una diagnosi di presunto blocco renale, e invece mi avevano tagliato gli ureteri”. Per la 54enne, che a processo si è costituita parte civile attraverso l’avvocato Cesare Barzoni, del foro di Mantova, Melpignano è il principale responsabile di ciò che le è accaduto. “Per tutti gli altri medici quello che diceva lui era oro colato”, ha sostenuto la signora, costretta per lungo tempo a portare lo stent, lo strumento utilizzato per prevenire o risolvere un quadro di ostruzione delle alte vie urinarie. “La mia qualità della vita da allora è molto cambiata”.
“Sicuramente c’è stato pericolo di vita, un grave rischio”, ha detto a sua volta il consulente tecnico del pm, il professor Guido Bertoletto, dell’Università di Pavia. “Il punto fondamentale clinico”, ha detto l’esperto, “è il riscontro di una doppia lesione degli ureteri”. Secondo il professore, “l’intervento è stato effettuato in modo congruo e corretto, ma nel decorso post operatorio sono comparse delle complicazioni”. Per il professor Bertoletto, “durante l’intervento sono stati inequivocabilmente lesionati gli ureteri”. Il consulente ha spiegato che in passato, per interventi di questo genere, gli errori erano all’ordine del giorno, “ma oggi la lesione urologica non è ammessa”. “Salvo casi eccezionali”, ha sottolineto l’esperto, “ma non è questo il caso”. “Oggi”, ha concluso il consulente, che ha riferito che il tumore era solo in una fase iniziale, e quindi sufficientemente isolato per consentirne una asportazione non problematica, “la possibilità di tagliare l’uretere è prossima allo zero”.
Gli altri 13 medici coinvolti risultano indagati in seguito all’azione della procura. Per il consulente del pm, le responsabilità sono invece da addebitare esclusivamente ai medici che si sono occupati dell’intervento chirurgico e di quelli deputati all’assistenza post operatoria.
L’udienza è stata aggiornata al prossimo 21 ottobre.
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