Spettacolo

Il Nabucco al teatro
Regio di Parma:
la recensione

Seconda e ultima opera in cartellone per la stagione lirica 2013 a Parma, Nabucco per la regia del 2008 di Daniele Abbado ripresa ora da Boris Stetka: allestimento caratterizzato da staticità e sostanzialmente povero di efficacia, complice la discutibile scelta dei costumi, di Luigi Perego, ora tradizionali ora novecenteschi.

Sul podio Renato Palumbo per dirigere la Filarmonica del Teatro Regio, nuova compagine impegnata con una produzione densa di insidie che danno filo da torcere ai giovani esecutori alla loro seconda comparsa in pubblico. Lo stacco dei tempi da parte del maestro risulta in genere abbastanza coerente anche se alcuni momenti, quali l’ouverture o il notissimo Va’ pensiero della terza parte, vengono affrontati in maniera un po’ troppo dilatata e tale da penalizzare colore, fraseggio e tensione espressiva. Qua e là si avvertono inoltre eccessi nella dinamica e le voci si percepiscono a fatica. Le scelte direttoriali riescono pure a compromettere talvolta il coro, preparato da Martino Faggiani, tradizionale pilastro del Teatro Regio di Parma che, già dal suggestivo «Gli arredi festivi» in apertura d’opera – impeccabilmente proposto dalla compagine in tanti concerti e recite passate –, è costretto a forzare, sommerso com’è dallo strumentale.

Nabucco è Roberto Frontali, baritono esperto con un buon registro centrale, che nella serata sembra affaticato e propone la nota difficile preghiera «Dio di Giuda» del quarto atto  con accento un po’ troppo uniforme. L’ardua parte di Abigaille, alla sua prima assoluta scaligera del 1842 interpretata da Giuseppina Strepponi, è sostenuta con fatica da Anna Pirozzi. Il soprano, pur dotato di un bel timbro, affronta con difficoltà cadenze, virtuosismi e intervalli problematici rendendo credibile solo in alcuni momenti il carattere aristocratico del personaggio. Di casa l’acclamato basso Michele Pertusi, (Zaccaria), professionista dalla carriera invidiabile che evidenzia ancora un buon registro centrale. Gli acuti e le note gravi, soprattutto, risultano compromessi, ma il pubblico parmigiano acclama ugualmente con foga il proprio concittadino, in scena sempre contraddistinto da eleganza e appropriatezza di stile. Già ai suoi iniziali recitativo e cavatina il cantante spicca per maestosità e rende il personaggio con classe. Fenena ed Ismaele, figure verdiane non particolarmente seducenti, sono interpretate rispettivamente da Anna Malavasi e dal tenore spagnolo Sergio Escobar che propongono la coppia di innamorati in maniera accettabile. La Malavasi, mezzosoprano dal timbro chiaro, ogni tanto lascia trapelare una certa ansia e ne risente la fermezza del canto, soprattutto nella breve ma splendida aria «Oh, dischiuso è il firmamento!». Dal canto suo, Escobar forza i suoni e la sua voce non risulta sempre ben proiettata in sala. Corretto il resto del cast, Gabriele Sagona (il Gran Sacerdote di Belo), Luca Casalin (Abdallo) e Elena Borin (Anna).

Malgrado il titolo altamente popolare e conosciuto dal pubblico parmigiano, il teatro saluta i protagonisti della recita con momenti alterni di applausi, riservando comunque il proprio vero dissenso al maestro direttore.

Paola Cirani

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